Quanta moda è troppa moda? Ce lo chiediamo all’inizio del Fase italiana della mese della moda che, come ogni anno, porta al curioso spostamento di stampa, buyer, designer e azienda tra Milano e Firenze. Uno spostamento che ogni anno vede sempre più Pitti Immagine Uomo espandersi e internazionalizzarsi (il 46% dei brand presenti quest’anno non sono italiani) accogliendo format e debutti normalmente prerogativa di Settimana della moda di Milanoche a prescindere da qualsiasi ricorrenza storica passata è oggi l’unico vero evento capitale della moda italiana. Infatti, la differenza tra Pitti Immagine e la Settimana della Moda di Milano è qualcosa di indefinibile finché non ci si trova di fronte – e i due eventi, così come temporalmente e tematicamente contiguicominciano a confondersi. Al punto che diversi marchi che presentano a Pitti Immagine presenteranno comunque alla settimana della moda, altri faranno delle attivazioni in entrambe le città per il consueto spirito di presenza mentre altri ancora, arrivando da fuori, faranno lì la loro sfilata che finirà inevitabilmente per diventare un prologo, almeno in termini di percezione, alla settimana della moda di Milano. Anche quest’anno Max Mara ha presentato anche la sua collezione Resort a Venezia il primo giorno di Pitti, incrementando la dispersione geografica di iniziative di moda. Insomma, più un evento vuole assomigliare all’altro, più emergono le differenze tra i due – soprattutto perché lo zoccolo duro di Pitti ha sempre meno in comune con un’industria del lusso che, come una mongolfiera senza zavorra, continua a cadere verso l’alto anziché librarsi nel cielo. Siamo sicuri che Pitti sia moda?
L’impressione è che Pitti Immagine vuole diventare una settimana della moda senza rinunciare all’immenso numero di grandi e piccoli marchi che lo frequentano, né modernizzare un modo di esporre che nel 2024 è obsoleto – anche solo per il suo onnivoro, inclusività babelica. Marchi giapponesi d’eccellenza, linee di abbigliamento per biciclette, sneaker artigianali fatte a mano, uno stand dell’aeronautica, presentazioni di libri e riviste, costumi da bagno, marchi specializzati in bretelle o cinture intrecciate ma anche uno stand dedicato all’abbigliamento per cani. La mappa dell’attuale configurazione della Fortezza da Basso sembra un’enorme cittadella ramificata attraverso un nodo gordiano di padiglioni, installazioni, stand e infopointIl percorso che anima questa edizione con 790 espositori è scandito da aree dedicate alle categorie più diverse (“Fantastic Classic” per i classici, “Dynamic Attitude” per l’athleisure ma anche “I Go Out” per l’outdoor, tra le altre). E questo senza contare talk, pop-up, cene e così via. Se le dimensioni di Pitti Immagine (che ha anche edizioni dedicate ai filati o all’abbigliamento per bambini) superano quelle della Milano Fashion Week, quest’ultima ha un impatto mediatico molto più alte: lo scorso anno le interazioni IG complessive dell’edizione estiva di Pitti Immagine erano state 718.000, quelle della Milano Fashion Week immediatamente successiva 2,3 milioniE non solo perché Pitti è in definitiva dedicato a buyer, stampa e addetti ai lavori, ma anche perché i tanti marchi presenti hanno più a che fare con l’abbigliamento che con la moda in sé – tanto che gli unici eventi segnalati nelle recensioni “cosa aspettarsi” riguardano le aziende milanesi o i “visitatori della moda” che come gli alieni atterrano a Firenze per un una tantum di stagione.
Ovviamente lo scopo di una fiera è quello di riunire l’intero settore, quindi è positivo che i marchi siano tanti e vari, ma suona scorretto insistere nel parlare di Pitti Immagine come manifestazione del mondo della moda quando ciò che viene esposto è spesso abbigliamento semplice. Senza dubbio qualità ma pur sempre abbigliamento. Del resto, quale tendenza capace di conquistare il mercato è mai uscita da Pitti Immagine? Escono dalla settimana della moda, quindi in ogni caso la presenza di Pitti Immagine non sarebbe un problema di per sé se si potesse collocare a una certa distanza, cercando di costruire un discorso culturale attorno al settore dell’abbigliamento premium che ne costituisce la vera sostanza. Tanto più che in tempi di crisi del lusso come quelli che stiamo vivendo (ma anche l’attuale presidente di Pitti ha parlato di momento delicato) operare una distinzione tra la moda stagionale di Milano e l’abbigliamento senza tempo di Pitti potrebbe presentare diversi vantaggi. Innanzitutto perché i marchi coinvolti appaiono molto più “autentici” dei mega-nomi del lusso prodotto in serie; e in secondo luogo perché è conveniente per questi marchi posizionarsi in strati superiori del segmento mercato medio che la moda di lusso ha ormai da tempo abbandonato, abbandonando vaste fasce della sua clientela al fast fashion.
Questo mondo di marchi di medio mercato, forse anche storici nei casi migliori ma in realtà poco pubblicizzato e con un’immagine superatanon ha solo bisogno di una fiera per far conoscere distributori e acquirenti, ma anche di una vetrina e di una narrazione moderna che sappia valorizzarli agli occhi del grande pubblico, rendendoli un “sistema” più o meno unitario e riconoscibile proprio come accade con la moda di lusso. Certo, il format della mega-fiera, diviso in centinaia e centinaia di stand, può funzionare a livello commerciale di base ma non aiuta a far crescere la scena dell’abbigliamento premium (alcuni dei marchi hanno livelli di qualità identici se non superiori al lusso) a livello di profondità storica e culturalenon aiuta quei marchi a parlare direttamente al pubblico, a costruire storie e a proporsi come valide alternative, storicamente e qualitativamente, al mondo della modaForse è giunto il momento che Pitti Immagine si concentri meglio sulla propria immagine (i lettori mi perdoneranno il gioco di parole) e decida cosa vuole essere al di là dell’autoproclamato “la più importante piattaforma internazionale per la moda e lo stile di vita maschile”. Dopotutto, tra essere tutto ed essere niente puoi sempre scegliere di essere qualcosa.