È ufficiale: il primo ministro e leader del partito più rappresentativo in Parlamento, il numero uno della terza forza politica che sostiene il governo e il segretario del principale partito di opposizione si candidano in pompa magna alle prossime elezioni europee. Eppure, anche se vincessero il seggio, nessuno di loro metterebbe piede al Parlamento europeo, se non al massimo per qualche gita domenicale. Uno stratagemma, ben radicato nella tradizione politica italiana, funzionale a raccogliere il maggior numero di voti in nome del culto del “volto noto” – in questo caso incarnato da Giorgia Meloni, Antonio Tajani ed Elly Schlein, oltre che dal leader centrista Carlo Calenda –, che sta togliendo e continuerà a togliere spazio mediatico al dibattito sulle grandi questioni europee e alle richieste di quei personaggi che, nella fisiologica differenza di posizioni, saranno chiamati davvero a esprimere la propria opinione sul futuro dell’Europa.
Sulla base dell’agenda annuale del Parlamento europeo, che fissa i tempi delle riunioni dei gruppi, delle commissioni permanenti e delle plenarie, è previsto che i parlamentari eletti restino circa 4 o 5 giorni alla settimana a Bruxelles e Strasburgo per seguire i lavori. Assolutamente una vita inconciliabile con quello dei leader politici italiani, impegnati tutto l’anno nelle iniziative locali, nella campagna elettorale e negli incontri di coordinamento con i compagni di partito e i gruppi parlamentari. A ciò si aggiunga che, come previsto dalle norme europee, la carica di eurodeputato lo è “incompatibile” con una serie di altre posizionicompreso quello di membro del governo o del parlamento di uno stato europeo.
Il premier Giorgia Meloni lo ha fatto ufficializzato che si candiderà alle elezioni europee – guidando le liste Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni elettorali – domenica scorsa, in occasione del convegno programmatico di FdI a Pescara. Anche sapendolo rinuncerà immediatamente al suo seggio a Strasburgola Meloni ha detto di essersi attivata affinché “sia chiaro il messaggio che votando per FdI l’8 e il 9 giugno si voterà per dare ancora più forza al nostro governo e all’Italia in Europa. Allo stesso tempo, catalizzando tutta la sua attenzione su la sua narrazione e il suo carattere, dal palco la Meloni ha invitato i suoi elettori a scrivere solo “Giorgia” sulla scheda elettorale «Il presidente del Consiglio è diviso tra Palazzo Chigi e la propaganda di TeleMeloni e ha perso il contatto con la realtà», ha subito commentato Elly Schlein. marcando la sua distanza dall’avversario. Con il quale, però, condividi la scelta strategica di candidarsi alle elezioni europee. L’annuncio dei dem era arrivato addirittura una settimana prima, quando lei lo aveva fatto dichiarato che sarebbe scesa in campo per «dare una spinta a questa splendida squadra e ad un progetto collettivo di cambiamento del Pd e del Paese», ma si affretta a dire: «Io naturalmente Resterò qui, come segretario, nelle discussioni quotidiane del Parlamento con Giorgia Meloni e le sue scelte scellerate per l’Italia.” Nelle stesse ore aveva annunciato le sue candidatura In testa alla lista in quattro collegi elettorali anche Antonio Tajani, leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, che parla di «un atto d’amore» nei confronti degli elettori e aggiungendo nei giorni scorsi di averlo fatto perché » in questa fase chi viene eletto segretario ha il dovere di mettersi alla testa dei colleghi di partito». Stesso discorso per il leader di Action Carlo Calenda, candidato in diverse circoscrizioni come capolista, che ha dichiarato di aver “proposto ai leader un patto di non candidarsi”, ma che “è andata diversamente”. Tanto che anche lui ha ceduto.
In caso di elezione, insomma, si dimetteranno tutti e quattro, pur gli altri candidati verranno traghettati al Parlamento Europeo, in base al numero di preferenze ricevute nelle varie circoscrizioni elettorali. Quella che appare una vera e propria “truffa” nei confronti degli elettori, insomma, viene mascherata dalla narrazione dell’”eroe” che sceglie di sacrificarsi per il suo popolo e condurre alla vittoria le fila delle sue truppe dal volto semisconosciuto. Ciò che non è detto, però, è che saranno solo questi ultimi a sporcarsi le mani nella vera battaglia parlamentare, senza che chi si reca alle urne ne conosca la storia e le intenzioni. Questa strategia è stata apertamente stigmatizzata da Giuseppe Conte, leader del M5S, che non si candiderà alle elezioni europee e ha dichiarato che “candidarsi e non andare nell’Ue è una barzelletta”, e da Matteo Renzi, leader della lista degli Stati Uniti d’Europa, che si è unito alla schiera dei leader candidati, promettendo però che, se eletto, rinuncerà al suo mandato seggio al Senato e siederà effettivamente a Strasburgo.
Tuttavia, non è la prima volta che questo meccanismo ingannevole appare nelle elezioni europee. Basti pensare a quanto accadde nel giugno 1994, quando Silvio Berlusconi – in una fase in cui la legge consentiva a un parlamentare italiano di svolgere contemporaneamente anche la carica di parlamentare europeo – dopo aver vinto in tutte le circoscrizioni come capolista rinunciò al suo posto in Europa, essendo appena diventato primo ministro per la prima volta. Il Cavaliere rispose anche nel 2004, quando anche Gianfranco Fini, allora vicepresidente del Consiglio, rinunciò alla sua carica e si presentò come leader di Alleanza Nazionale in tutte le circoscrizioni. Nel 2009 furono eletti tre leader a rinunciare alla poltrona sono stati, ancora, Silvio Berlusconi (PDL), Umberto Bossi (Lega) e Antonio Di Pietro (IdV). Nell’ultimo turno, quello del 2019, Giorgia Meloni, allora deputata di Montecitorio, e Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno e candidato più votato alle elezioni europee, si candidarono in tutte le circoscrizioni per poi rinunciare al seggio ottenuto. .
[di Stefano Baudino]