Tornando indietro nel tempo, al 2014, ci soffermiamo su un aneddoto che ha come protagonista il presidente russo Vladimir Putin, il quale, durante le prime sanzioni allora imposte dopo l’annessione della Crimea, interrogò i suoi consiglieri economici sulla sicurezza alimentare del villaggio. La risposta fu per lui un avvertimento: la Russia era troppo dipendente dalle importazioni alimentari. Da qui parte una svolta verso l’autosufficienza che in soli otto anni porta il Paese a diventare quasi del tutto autarchico nel settore agroalimentare, producendo internamente carne, pesce e formaggi di qualità accettabile.
Ma è guardando ad Oriente che scopriamo il vero pioniere del de-coupling: la Cina. Da decenni, e ben prima delle recenti frizioni commerciali con gli Stati Uniti, la Cina aveva delineato un piano strategico per diventare autonoma in diversi settori, primo fra tutti quello tecnologico. La Cina investe nel settore dei semiconduttori già dagli anni Ottanta e, anche se inizialmente con risultati tutt’altro che eclatanti, col tempo ha rafforzato gli sforzi per ridurre la dipendenza dalle tecnologie occidentali. Il 2015 ha visto l’avvento del piano “Made in China 2025”, che ha delineato un percorso verso l’autosufficienza in settori chiave come i semiconduttori, l’intelligenza artificiale e le tecnologie pulite.
Oggi, in molti settori del settore tecnologico ad alta intensità di ricerca e sviluppo, la Cina sta raggiungendo o addirittura superando i concorrenti occidentali, ad eccezione di alcuni settori specifici come i microchip di ultima generazione. La Cina, anticipando il possibile effetto boomerang delle restrizioni alle esportazioni statunitensi, si sta quindi posizionando per ridurre al minimo i danni a lungo termine e aumentare il proprio vantaggio competitivo.
Allo stesso tempo, Pechino mirava a ridurre la propria dipendenza dai canali finanziari occidentali, proteggendosi dagli effetti delle sanzioni internazionali che avevano già colpito l’Iran. Il sistema finanziario cinese è rimasto sostanzialmente chiuso agli investitori stranieri, con controlli sui capitali ancora molto severi. L’alternativa cinese allo SWIFT, il sistema di pagamento da banca a banca chiamato CIPS, e la valuta digitale testata nelle transazioni transfrontaliere sono chiari indicatori di questa direzione strategica.
A tutto ciò si aggiunge lo sforzo di ridurre la dipendenza dal commercio con i paesi occidentali, considerata una vulnerabilità in caso di conflitti o tensioni geopolitiche. E così troviamo una Cina che diversifica attivamente le sue relazioni commerciali, spostando il suo centro di gravità verso i mercati emergenti e altre economie in crescita. I dati più recenti evidenziano una sostanziale diminuzione degli scambi con Stati Uniti e Unione Europea a fronte di un aumento delle esportazioni verso i paesi BRICS e i mercati emergenti, confermando l’efficacia della strategia cinese di “de-risking”.
Inoltre, in questo quadro strategico, si inserisce l’approccio cinese agli investimenti diretti esteri, che mostra un cambiamento decisivo nell’ultimo decennio: dal G-7 ed economie simili si è passati ad un maggiore interesse per i mercati emergenti che includono Indonesia, Arabia Saudita e Brasile.
La questione del “de-risking” cinese è quindi sottile e composta da molti strati, alimentata da un calcolo molto specifico che va oltre la semplice competizione economica. Questo approccio, quasi in sordina rispetto ai clamori del dibattito pubblico occidentale, ha profonde implicazioni sul piano internazionale, soprattutto se si tiene in considerazione l’idea che i legami economici sono anche uno strumento di deterrenza politica. Lo scopo a lungo termine di questi cambiamenti è chiaro: la Cina si prepara ad un panorama geopolitico in cui un’eventuale escalation delle tensioni con Stati Uniti ed Europa, soprattutto su questioni delicate come il futuro di Taiwan, non deve trovare il Paese impreparato né economicamente vulnerabile.
In conclusione, la strategia di “riduzione del rischio” della Cina ha radici profonde e precede in modo significativo gli analoghi sforzi occidentali. E, nonostante le implicazioni e le sfide, sembra che su questo fronte la Cina stia giocando una partita a lungo termine, con determinazione e una visione d’insieme che potrebbe rivelarsi cruciale nell’affrontare gli scenari futuri.