Gli anni Novanta mandano in frantumi l’antiquato Eden del Il signor di Givenchy. Nel giro di pochi anni la sua famiglia prescelta scompare: Capucine si getta dalla finestra e… Audrey Hepburn perde la battaglia contro il cancro. Il suo budget viene progressivamente ridotto dopo aver venduto la Maison al gruppo LVMH nel 1988. Decide poi di ritirarsi da solo, trasformando di fatto l’ultima sfilata, quella dell’11 luglio 1995, in un funerale personale presso l’Haute Couture parigina “d’altri tempi” . Ma ecco cosa rovina anche il suo addio John Fairchildeditore e caporedattore di Abbigliamento da donna quotidiano, che – si dice – gli dice quello che nessuno si è ancora preso la briga di dirgli: che John Galliano, astro nascente scatenato, anzi, già nato, è ai blocchi di partenza per sostituirlo. Eppure… Eppure nemmeno l’amareggiato conte Hubert James Marcel Taffin de Givenchy avrebbe forse avuto nulla da eccepire sull’immenso talento del suo successore. Che da un funerale tira fuori subito un battesimo: è una star fin dal suo debutto, nel gennaio 1996, all’ippodromo d’Auteuildove la Principessa sul pisello lascia appendere il suo strascico infinito e schiumoso a un muro di materassi giganti alto 15 piedi.
Ma tutto questo, cioè gli abiti, attentamente concepiti quasi a dispetto della loro eccentricità, e le sfilate, sovraccariche, teatrali ma sempre ben documentate, non fanno la parte del leone nel docufilm High & Low: John Galliano (apparso in alcuni festival; in Italia, dopo le proiezioni al Festival del Cinema di Roma e al Milano Design Film Festival, uscirà prossimamente grazie a I Wonder Pictures). Perché ciò che conta Kevin MacDonald, il suo regista scozzese, che si è sempre divertito con i documentari (Oscar nel 2000 per Un giorno a settembre), è invece un’indagine etica dei nostri attuali concetti e preconcetti di trasgressione, colpa, perdono, espiazione, redenzione, con conseguente misurazione della loro ampiezza e dei loro limiti. Così come i confini incerti tra celebrità, affari e malattie mentali. Il che, ovviamente, si adatta perfettamente alla storia di Juan Carlos Antonio Galliano Guillénora ha 63 anni, e soprattutto tocca i nervi scoperti della cancel culture e dell’ostracismo.
A questo proposito Macdonald ha affermato che “nessuno di noi dovrebbe essere giudicato in modo definitivo per i cinque minuti peggiori della nostra vita”. Forse. Il fatto è che quelli di Galliano furono cinque minuti davvero terribili, sì, ma ambientati in una narrazione magistrale. Nemmeno uno sceneggiatore di fiction avrebbe saputo fare di meglio.
C’è il preambolo. Lui è lì, l’ex bambino cattolico è stato vittima di bullismo e ha abusato di Dulwich, nel sud di Londra, figlio di un idraulico di Gibilterra e di un insegnante di flamenco andaluso, lo squattrinato ex studente della Central Saint Martins, beniamino di signore e top ricchi ed eccentrici, che arriva a Givenchy, ci resta poco più di un anno, e poi passa aHaute Couture di Dior. Dove ha trionfato come direttore creativo per circa 15 anni. Poi c’è lo sviluppo del preambolo. Ogni volta una sfilata più bella. Una femminilità più fragile e sfacciata, romantica e spericolata, dai dandy del Termidoro alle principesse russe in fuga dal castello, dai sporchi barboni parigini vestiti di giornali alle señoritas pronte per la corrida, che reinventano una Spagna hollywoodiana, fino alle evocazioni di Cio-Cio-San, della Marchesa Casati, e poi di Anna Karenina, Anastasia Romanov, Nefertiti, Blanche Dubois, Giuseppina Bonaparte…
Non c’è appropriazione culturale, i tempi non sono ancora maturi, e comunque ogni ispirazione si frantuma nel vortice impazzito della perizia artigianale. Ma c’è invece innocenza, suo malgrado, i modelli, che lo amano come un fratello, lo vogliono spudoratamente e con entusiasmo (nel film, per farci capire l’effetto del taglio in sbieco sul corpo di una donna, gli basta maneggiare un tovagliolo!). C’è genio e incoscienza (e narcisismo), ma anche preparazione. Perché lui, Galliano, scandalizza Monsieur Arnault con i suoi dreadlocks, ma poi è lì per frugare archivi e biblioteche e studiare l’eredità dei couturier che apparentemente rivoluziona, dalla blusa Bettina di Givenchy alla giacca Bar di Dior. E per ringraziarli: perché l’Haute Couture gli permette di perdersi in sogni e deliri, di scolpire immense gonne rubate a un dipinto settecentesco piuttosto che settecentesco, di diffondere i colori che ama, viola di Parma, arancio indiano, lime. Di sentirsi un po’ il Napoleone di Abel Gance, un altro piccolo uomo mediterraneo dal cognome italiano che mette sottosopra Parigi e un intero sistema.
Ma ogni volta, anche, un passo più giù verso l’inferno: la vita quotidiana prevede alcol, Valium e sonniferi abbinati a diete dimagranti e palestra a go-go, i festini finiscono con lui chiuso nudo nell’ascensore di un albergo, la debacle è senza ritorno quando il fedele braccio destro, Steven Robinson, muore per overdose di cocaina. Arrivare a preparare 32 collezioni in un anno non lo aiuta a mantenere i nervi saldi ma, si sa, ormai nell’Haute Couture vigono le regole dell’alta finanza, e basta. Dall’élite siamo passati al business globale. E infine i famosi 5 minuti di tregenda. Seduto in un bar del Marais, ubriaco fradicio e fatto, un pomeriggio del 2011, lancia pesanti insulti antisemiti e razzisti a una coppia di clienti.
Fu arrestato, interrogato, liberato, sospeso da Dior e poi, grazie a un video venduto al Sun, con altri insulti filonazisti ed eccessi misogini, infine licenziato. Hollande revoca la Legion d’Onore. Basta, è finito, emarginato, estromesso anche dalla stirpe che porta il suo nome. Ed è a questo punto che prende il via il film biografico. Precedute da collegamenti su Zoom durante la virulenta estate 2020, le riprese si dipanano poi nel 2022 tra Londra, Parigi, New York e nella casa di campagna a Beauvais, dove Galliano vive con l’amorevole fidanzato Alexis: eccolo, affettuoso, timido, gentile e manipolatore, ed ecco “gli altri” che lo accusano e lo difendono, oppure lo scaricano.
Sidney Toledano (un ebreo, all’epoca della vicenda era amministratore delegato di Dior) lo perdona, organizza una visita agli archivi della Maison ma attribuisce la colpa del burnout ai demoni personali e non certo allo sfondamento aziendale. Philippe Virgitti, il parigino insultato al Café La Perle, è una vittima che soffre così tanto del vittimismo da lasciare un po’ perplessi. Anna Wintour, in sintonia con l’élite Condé Nast di allora e di oggi (High & Low è prodotto in associazione con Condé Nast Entertainment), lo protegge come si protegge un genio malato ma sempre splendente, e organizza per lui anche la riabilitazione perfetta. Cioè, dopo l’ovvia disintossicazione, lezioni di storia ebraica dal rabbino Barry Marcus e tre settimane come designer in residenza con un ottuagenario Oscar de la Renta. Il diavolo e l’acqua santa. Non sorprende che Robin Givhan, nero, ex fashion editor del Washington Post, premio Pulitzer, sia controverso: chissà se sarebbe stato perdonato così in fretta, si chiede, se non avesse avuto agganci così potenti e soprattutto se non fosse stato un maschio bianco? Sì, chi la conosce.
I dubbi morali sollevati da Macdonald restano tali. Anzi di più. Forse arriviamo a pensare che, più che antisemita, il Galliano di quel 2011 fosse desolatamente ignorante e votato al suicidio sociale. Ciò che non si può discutere, e qui siamo d’accordo con la signora Wintour, e con Kate Moss e Naomi Campbell (lo zoccolo duro della sua claque è sempre stato fortemente inglese e femminile), è che lui è ancora il migliore di tutti. Il film non riesce a contemplarla, ma la sua languida Maison Margiela Artisanal 2024 Collection, presentata sotto il Pont Alexandre III lo scorso gennaio, continua ad appassionare le giovani generazioni dopo molto tempo.
Sì, forse la parola di perdono più efficace poteva essere recitata, in italiano, da Renzo Rosso, presidente di OTB, che lo ha scelto come direttore creativo della maison parigina dal 2014: perché le vendite sono salite alle stelle dal suo arrivo. È quindi legittimo separare la bellezza dai difetti di chi l’ha creata? Ebbene… Intanto lui, oggi finalmente libero di mettere ancora carne e peccato in una produzione artistica che ci dicono sia destinata a diventare sempre più strategica e impersonale, si dichiara felice. Quando chiude il sipario sulle sue sfilate non corre più ubriaco per giorni e notti. Macdonald ci fa sapere che fugge attraverso i corridoi del backstage, gemendo.