Fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero è l’impegno vincolante della legislazione europea sul clima, nata nel 2021 nel contesto del Green Deal europeo. Per l’Italia questa strada è l’unica possibile: la probabilità di rischio evento clima estremi è aumentato del 9% negli ultimi vent’anni e il Mediterraneo è riconosciuto come uno dei punti caldi del cambiamento climatico. Nel nostro Paese gli impatti sono già diffusi ovvio e i dati contenuti nel recente rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente fanno proprio questo indicare la progressione dei cambiamenti in atto.
Il Green Deal e il percorso verso la decarbonizzazione europea
Per decenni, l’Ue guida gli impegni di decarbonizzazione dell’Italia. E non potrebbe essere altrimenti, per tanti motivi. Innanzitutto perché la transizione richiede la trasformazione del paradigma economico del continente e quindi di tutti i suoi pilastri: dall’industria ai trasporti, dall’approvvigionamento energetico alla fiscalità. In secondo luogo, perché il cambiamento climatico colpisce tutti i settori all’interno e all’esterno dell’UE in modo trasversale, con impatti sulla sicurezza, sulla salute, sulla politica estera e commerciale, sulle catene del valore e sul comportamento delle persone. In terzo luogo, perché la transizione richiede cooperazione e solidarietà tra i paesi per costruire sistemi energetici interconnessi e, in quarto luogo, perché sono necessari strumenti comuni per sostenerla. Quinto, perché non possiamo decarbonizzarci mentre il resto del mondo va nella direzione opposta, altrimenti rischiamo di subire contraccolpi interni e isolamento internazionale. L’elenco potrebbe continuare.
Cosa la strada del Green Deal non è stato facile. Nato cinque anni fa, ha dovuto fare i conti con le tradizionali divisioni intraeuropee – come l’inesauribile dibattito sul nucleare – ma anche con shock esterni molto violenti – la pandemia e la crisi energetica. Tuttavia, ha sorprendentemente mostrato una grande resilienza: con Next Generation EU (creato per sostenere la ripresa post-Covid) e attraverso il pacchetto RepowerEU (parte della risposta europea all’invasione russa dell’Ucraina), il blocco ha rafforzato le sue ambizioni climatiche. In Italia il PNRR dispone di un’ampia componente di fondi a sostegno della transizione energetica e la dimensione di sicurezza della decarbonizzazione è ormai più chiara.
Il ruolo degli Stati membri nel processo di transizione energetica
Di fronte a obiettivi sempre più ambiziosi, i 27 Stati membri devono adattarsi lentamente. IL piani nazionali per l’energia e il clima sono infatti gli strumenti che ciascuno Stato ha per chiarire il proprio percorso, consentendo alla Commissione di capire se, sommando gli sforzi di tutti, si sta davvero seguendo la strada verso la neutralità climatica. Nel 2023 sono state predisposte nuove bozze di aggiornamento dei piani (anche dall’Italia) e la Commissione ha proceduto a realizzarne alcuni raccomandazioni su come migliorarli dato ciò permangono lacune sostanziali per raggiungere gli obiettivi. Nella loro forma più recente, i progetti di aggiornamento porterebbero ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 51% rispetto al 1990, rispetto all’obiettivo del 55% dell’Unione. Le energie rinnovabili rappresenterebbero una quota del 38,6-39,3% del consumo finale lordo di energia nel 2030, rispetto al 42,5%, mentre permane un divario ancora più sostanziale nell’efficienza energetica. Su questa base gli Stati devono definire i piani definitivi per giugno 2024, proprio all’indomani delle elezioni. La Commissione ha inoltre già fissato un target di riduzione delle emissioni nette di gas serra entro il 2040 per tracciare il percorso verso il 2050. Questo doppio binario – europeo e interno – è certamente complesso ma fondamentale per “governare” la transizione, anche gradualmente laddove sinergie o interconnessioni tra rafforzare gli stati e dove, invece, è necessario prevedere strumenti di sostegno più adeguati.
L’agenda sul clima avrà unAttenzione senza precedenti nelle prossime elezioni europee e nazionali, i cui risultati potrebbero avere un impatto sugli sviluppi politici dell’UE, in particolare sulla pianificazione finanziaria e sui tempi della transizione. UN crescente polarizzazione sul tema costituisce un rischio per la fase di implementazione nei contesti nazionali delle misure finora adottate, che potrebbe quindi subire rallentamenti. Un certo livello di opposizione tra istanze diverse è invece fisiologico e dimostra come il cambiamento sia effettivamente in atto. Tuttavia, per attuare la transizione nei tempi stabiliti e coglierne appieno i benefici, è necessario farlo progressiva istituzionalizzazione della politica climatica a livello nazionale ed europeo e allo stesso tempo dobbiamo prevenire i rischi di fratture all’interno e tra gli Stati membri impegnandoci nella costruzione di strumenti comuni europei a sostegno della decarbonizzazione. Là posizione della finanza pubblica italiana ad esempio, resta affetto da importanti fragilità strutturali, che potrebbero comportare crescenti difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi green e nello sfruttamento delle opportunità di delocalizzazione industriale in settori sempre più strategici. Un antagonismo verso l’agenda climatica rischierebbe poi di ridurre le opportunità di influenza sulle fasi successive della transizione, non consentendo di sfruttare appieno il potenziale dell’Italia.
Ascoltare il podcast approfondito sul sito dell’Istituto Affari Internazionali