Un paio di giorni fa il nuovo primo ministro francese, Gabriel Attal, ha lanciato un violento attacco contro Marine Le Pen all’Assemblea nazionale. Tema: politica estera e sintonia dell’opposizione di destra con la Russia di Vladimir Putin, in particolare con il suo leader. Toni forti e un po’ di imbarazzo da parte della Le Pen. Nessuno si è stupito: ora che siamo in campagna elettorale, il presidente Emmanuel Macron, d’accordo con gli inglesi, sta facendo della linea anti-russa una priorità della sua politica; al contrario, la destra si muove su un terreno fragile perché è vero che il Rassemblement lepenista costituisce la punta di diamante della penetrazione di Putin nell’Europa occidentale. E i sospetti, anzi qualcosa di più, che riguardano personalmente il leader Marine sono noti, al punto che è difficile, forse impossibile, che lei cambi direzione senza esporsi alla vendetta di Mosca.
La premessa serve a sottolineare una verità anche banale. Soprattutto nel mezzo di una crisi internazionale, la politica estera può essere due cose: una, il fattore che unifica il Paese, al di là delle vecchie divisioni tra maggioranza e opposizione; due, la discriminante che contrappone una parte all’altra. In questo caso, la maggioranza di Parigi sostiene l’alleanza occidentale e lo fa con particolare vigore, mentre la destra – minacciosa nelle urne – è favorevole ad una resa da parte degli ucraini alla Russia. Abbraccia quindi una linea antiamericana, anzi anti-Joe Biden, aspettando con estremo favore il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Esiste poi una terza via, del tutto singolare. È quello tutto italiano, di cui ormai abbiamo numerosi indizi. Nella variante italiana, le due linee (filo-atlantica e filo-russa, filo-Ucraina e filo-Russia, filo-Trump e filo-Biden) convivono pacificamente all’interno delle due coalizioni. Giorni fa, all’indomani delle primarie in South Carolina, Matteo Salvini ha inviato un telegramma di entusiastiche congratulazioni al vincitore Trump, proprio nelle ore in cui Giorgia Meloni si pronunciava ancora una volta a favore di Volodymyr Zelenskyj e della necessità di aiutare Kiev. Di lì a poco sarebbe arrivata la sconfitta del centrodestra in Sardegna. Si potrebbe quindi adattare senza sforzo la celebre frase di Arturo Parisi, riferendosi a chi all’epoca sosteneva Barack Obama come candidato alle presidenziali mentre nel nostro Paese il centrosinistra sprofondava nell’indifferenza generale: “Abbiamo perso la Sardegna, ma in compenso abbiamo vinto in la Carolina del Sud.”
Se la destra sperimenta questa straordinaria contraddizione, la sinistra non se la passa molto meglio. Elly Schlein si propone di muoversi nel solco tradizionale della solidarietà atlantica, consapevole anche del pensiero del Presidente della Repubblica al riguardo. Al contrario, Giuseppe Conte, nemico giurato del sostegno a Kiev, cammina su un’altra strada. Riguardo al viaggio del Primo Ministro a Washington, ha commentato: “È andata a prendere i nuovi ordini”. Una frase che potrebbe dire Dmitry Peskov, portavoce di Putin. Tutto legittimo, certo che lo è. Dobbiamo però capire. O a Palazzo Chigi c’è un “sovranista fascista”, portato per natura a esprimersi come Marine Le Pen, Matteo Salvini e altri esponenti dell’estrema destra europea, oppure c’è qualcuno che va in America a prendere ordini . E quindi allinearci alla politica estera atlantica, che è sempre stata anche la nostra. Per ora i segnali dicono che vale la seconda ipotesi. E dicono anche un’altra cosa: che l’Italia è l’unico Paese in cui convivono due politiche estere all’interno della maggioranza e dell’opposizione. Con quali benefici per la credibilità internazionale del Paese, è fin troppo facile immaginarlo.