I numeri delle startup stanno diminuendo. Nel 2023 il totale degli investimenti in equity da parte delle startup hi-tech in Italia è stato pari a 1,13 miliardi di euro, registrando una significativa contrazione (-39%) rispetto al valore complessivo del 2022 (1,86 miliardi di euro). Numeri che evidenziano l’assenza dei grandi round di finanziamento che avevano caratterizzato gli ultimi due anni, ma che alla luce del calo generalizzato degli investimenti a livello globale sembrano confermare la solidità dell’ecosistema italiano. «Il 2023 è stato un anno di transizione, in cui abbiamo visto di fatto un ripensamento dell’intero settore. Un anno in cui il settore tecnologico si è affermato in tutto il mondo, in Italia in misura un po’ più attenuata, essendo di dimensioni più contenute rispetto agli altri”, afferma Gianluca Dettori, Presidente e Socio Accomandatario di Prime imprese. «Gli investimenti si sono quasi dimezzati rispetto al 2022, che è un dato complessivamente negativo. Si è verificato un rallentamento del valore complessivo investito. Nella fase iniziale del mercato (la fase di sviluppo iniziale), la riduzione è stata avvertita molto meno. Nella fase seed però si è visto, ma gli effetti non sono stati drammatici rispetto alla situazione all’estero”.
La crescita dell’ultimo decennio è sufficiente a compensare questo declino?
“Sì certo. In realtà dieci anni fa tutto questo non esisteva. Gli investimenti in Italia nel settore erano prossimi allo zero e quindi, nonostante un rallentamento del mercato, il dato complessivo è che miliardi di euro continuano ad essere investiti nelle startup in Italia e questo è sicuramente positivo. È cambiata anche l’idea di cercare “unicorni”, aziende un po’ fuori dal comune. Oggi siamo nuovamente a caccia di aziende che si stanno rinnovando tecnologicamente e creando soluzioni più sostenibili modelli di business, guardando all’innovazione ma senza puntare all’esasperazione dell’ipercrescita, che era invece la mitologia di quegli anni di bolla speculativa. Dopo la crisi finanziaria, gli investitori cercano il vero valore piuttosto che iniziative effimere.”
Quali sono i principali settori che guidano l’evoluzione?
«Puntiamo al concreto, ricercando in tutti gli ambiti il valore aggiunto che l’industria tecnologica porta con sé. Stiamo assistendo ad un momento di sviluppo di nuove tecnologie. Nell’informatica, ad esempio, l’innovazione più importante è quella dell’intelligenza artificiale. La ricerca degli investitori va proprio in quella direzione e verso un’innovazione che crei valore per le persone. L’attenzione si concentra sui ruoli mutevoli delle macchine e degli esseri umani dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale. Ma ci sono anche molti altri settori, ad esempio quello spaziale, in cui sono in corso enormi trasformazioni. Un altro settore emergente molto importante è quello del clima: affrontare il cambiamento determina un bisogno di tecnologie, che oggi si sviluppano in un laboratorio o in una Startup. Il bisogno di innovazione è sempre più necessario, proprio a causa delle sfide che oggi la società moderna si trova ad affrontare.”
L’intelligenza artificiale è al centro dell’attenzione in questo momento. Resterà lì per molto tempo?
«No, tutto può cambiare. Ogni nuova tecnologia porta con sé scenari che prima sembravano inimmaginabili. Insomma, tutto accade in tempi relativamente brevi, ma chi lavora in questo campo segue con attenzione gli sviluppi. Quindi l’innovazione tecnologica non si fermerà, anzi crescerà sempre di più, come ha fatto negli ultimi anni.”
«Per gli investitori l’orizzonte temporale per agire è di dieci anni: investiamo oggi in settori che tra almeno otto anni saranno molto significativi. Chi possiederà l’innovazione tecnologica necessaria per vincere le sfide del mercato aprirà la strada. Ciò che cambia è la portata delle trasformazioni che dobbiamo affrontare. Immaginare adesso come sarà la società tra un decennio, dopo un forte avvento dell’intelligenza artificiale, non è molto facile, ma è proprio la sfida del Venture Capital.”
C’è preoccupazione per il futuro degli investimenti?
«No, è tutto abbastanza normale dal punto di vista di chi fa questo lavoro da venticinque anni. Momenti di difficoltà, boom, crescita, recessione e bolla sono normali nei cicli economici. Non c’è niente di diverso dal solito.”
In tempi di crisi è meglio investire o disinvestire?
«Paradossalmente i prossimi tre anni saranno i migliori su cui investire nel prossimo decennio, o quindici anni. Molto semplicemente, la minore disponibilità di capitale per gli imprenditori, soprattutto nel settore tech, dove è fondamentale, è un’opportunità. I progetti migliori costano meno, gli imprenditori di successo sono molto più disponibili e i termini della trattativa sono molto più favorevoli all’investitore: insomma, è il momento perfetto per investire. Ci sono cicli di investimento, se compri a poco sei a metà dell’opera.”
Come si posiziona l’Italia rispetto agli altri Stati?
«Purtroppo non bene. Siamo quindici o venti anni indietro, per esempio, rispetto ai francesi. Da almeno venticinque anni investono regolarmente in modo strutturato sul tema Startup. Noi, al contrario, siamo un Paese ancora emergente in Europa in questo ambito, ma che ha grandi potenzialità proprio per la sua arretratezza. Siamo una grande nazione con un’importante infrastruttura accademica, di ricerca e industriale a livello internazionale ed europeo. Se in Francia riuscissero a investire dieci volte tanto che in Italia, è presumibile che ci sia uno spazio di opportunità da colmare”.
Quali sono le cause della nostra arretratezza?
«Probabilmente il fatto che ci sia stato un momento in cui l’Italia aveva la leadership europea nel settore dell’informatica, parliamo degli anni tra il 1998 e il 1999. Tiscali, ad esempio, era la startup più grande del continente. Ma poi, dopo un ciclo di bolle economiche, gli investimenti si sono fermati per circa dieci anni e questo ha innescato un ritardo generale nel settore tecnologico.”
Cosa potrebbe cambiare nei prossimi tre anni?
«È difficile immaginare uno scenario, perché ogni settore ha i propri spazi di crescita e di creazione di valore. In realtà non esiste una risposta, ma dove ci sono grossi problemi la tecnologia spesso trova soluzioni prima impensabili e lì si crea qualità. La chiave è essere in grado di identificare i problemi avvertiti nella società ma ancora inespressi in termini di risoluzione dei problemi e di offerta. Le startup, grazie all’innovazione, sono in grado di introdurre nuove soluzioni che mettono la situazione sotto una luce diversa. Sono quelle startup che risolvono problemi reali che le persone avvertono realmente, non indotti, come negli anni della bolla.”
In quali settori vedete i “problemi irrisolti” più interessanti?
«La tecnologia rende possibile l’impensabile. Se anni fa lo spazio era considerato lontano da noi, roba da fantascienza, oggi è diventato una dimensione economica, un mercato in cui possono operare anche le iniziative private, aprendo uno spazio inesplorato. I punti di vista sono tanti: telecomunicazioni, tecnologie per l’osservazione della Terra, per monitorare il pianeta e le situazioni di rischio. Il progresso apre opportunità che ampliano la capacità di sviluppo della società moderna. Adesso è spazio, domani potrebbe essere qualcos’altro. Stiamo ricominciando a parlare anche di energia nucleare, ad esempio, e di come, in definitiva, nonostante lo stigma, possa offrire una soluzione importante ai problemi del pianeta. Oppure il problema dello stoccaggio in batterie, di rendere rinnovabile l’energia, di rinnovare le reti di distribuzione. Insomma, i problemi sono tanti e la tecnologia è l’unica risposta possibile. Ma abbiamo bisogno anche di imprenditori, perché da soli non bastano”.
Come si prospetta l’anno per gli investimenti?
«Per l’Italia il 2024 sarà un anno di conferme, dove la sfida da affrontare è confermare che il nostro Paese può generare imprese ad alto contenuto tecnologico significative a livello internazionale. Da questo punto di vista, il vantaggio è che tutta la capacità di investimento comincia a essere mobilitata. L’Italia ha una vasta attività di ricerca e accademica in questo settore, ma non si è mai trasferita bene sul mercato. Negli ultimi anni, però, questo scenario è cambiato e nel deep tech italiano cominciano a emergere aziende di valore dotate di asset tecnologico e capaci di competere nel mondo.
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Articolo tratto dal numero del 1 febbraio 2024 de il Bollettino. Sottoscrivi!