Il Prof. Paolo Poletti fa un’attenta analisi sulla crisi mondiale
<<Mercati finanziari in ebollizione. Crescita economica migliore del previsto. Ottimismo che la
peggiore ondata inflazionistica degli ultimi decenni si stesse spegnendo.
Tuttavia, a giudicare dal tono delle discussioni al World Economic Forum di Davos, nessuno è stato
pronto a festeggiare.
Anche se le grandi economie guidate dagli Stati Uniti si stanno dirigendo verso un “atterraggio
morbido” sulla scia dei brutali aumenti dei tassi di interesse, questo dato viene offuscato dalla
crescente ansia per la miriade di rischi geopolitici che si profilano nel 2024 e che gettano
incertezza sulla formulazione delle politiche.
Le guerre infuriano in Europa e nel Medio Oriente: quest’ultimo conflitto porta alla diversione di
dei traffici marittimi intorno all’Africa meridionale, aumentando i costi aziendali e potenzialmente
l’inflazione.
Allo stesso tempo, otto dei dieci paesi più popolosi del mondo terranno le elezioni quest’anno,
preannunciando un periodo di acuta volatilità politica.
Le più importanti di queste sono senza dubbio le elezioni presidenziali americane di novembre.
La possibile vittoria di Donald Trump nelle primarie ha riacceso le preoccupazioni che la Casa Bianca
possa essere riconquistata da un Presidente con scarsa considerazione per le tradizionali alleanze
statunitensi, o per un sistema internazionale basato su regole già troppo in discussione.
L’ansia non sorprende, seppure l’economia globale abbia resistito allo shock inflazionistico molto meglio di quanto molti si aspettassero: la questione è che l’umore diffuso tra i delegati a Davos si è concentrato sull’impatto che una moltitudine di rischi geopolitici potrebbero avere sulla politica economica: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha usato un tono pessimista, affermando che il mondo è entrato in un’era di “conflitto e confronto, di frammentazione e paura”.
Ha aggiunto: “Non c’è dubbio che affrontiamo il rischio maggiore per l’ordine globale nel dopoguerra”.
Gli attacchi alle spedizioni nel Mar Rosso, perpetrati dai militanti Houthi, membri della setta Zaydi
dell’Islam sciita, in risposta alla guerra di Israele a Gaza, minacciano di creare un periodo “caotico” per
i produttori e i rivenditori europei, poiché le catene di approvvigionamento vengono interrotte, hanno
avvertito gli esperti di logistica.
Gli Houti erano i meno allineati ideologicamente all’Iran rispetto ad altri gruppi militanti regionali:
tuttavia, la crisi di Gaza li ha attirati al cosiddetto “asse di resistenza” a Israele sostenuto dall’Iran.
Non a caso, Stati Uniti e Stati del Golfo accusano Teheran di fornire agli Houthi tecnologia missilistica
e droni, nonché addestramento.
Cosa rappresenta la rotta del Mar Rosso/Suez.
Quasi tutte le navi portacontainer sono state dirottate dal Canale di Suez verso la rotta più lunga attorno al Capo di Buona Speranza (che richiede alle navi dai 7 ai 20 giorni in più (16.000 nm contro 9.000 nm circa).
L’ultimo indicatore mensile del commercio pubblicato dal Kiel Institute for the World Economy, riferisce che dopo l’inizio degli attacchi Houthi, i flussi di container attraverso il Mar Rosso sono stati meno
della metà del livello abituale di dicembre e sono scesi al di sotto del 70% del valore medio all’inizio di gennaio.
Attraverso quell’arteria passa quasi il 20% delle merci trasportate su mare nel mondo e il 30% delle navi porta container. In particolare, l’8% di grano, il 12% del petrolio e l’8% del gas naturale liquido trasportato via mare.
A causa del viaggio più lungo, si registra un aumento complessivo dei noli del 40% ed un forte aumento delle polizze assicurative Lo Shanghai Containerized Freight Index – una misura dei costi di spostamento
di un singolo container da 40 piedi su una serie di rotte a lungo raggio – ha raggiunto il 5 gennaio il suo tasso più alto al di fuori dei disagi causati dalla pandemia di Covid: il costo di trasporto di un container da
Shanghai a Rotterdam è passato dai 1.667 $ del 23 dicembre ai 3.577 $ del 5 gennaio.
Anche il costo per spostare un container da Shanghai a Genova è raddoppiato: da 1.956 $ a 4.178 $.
Per l’Italia il passaggio attraverso Suez vale 154 mld € ogni anno: 43 mld di esportazioni, 111 mld di
importazioni.
Ma c’è anche un altro elemento da considerare: la scarsità di navi. Il tempo di 102 giorni necessario per completare un giro tra l’Asia e il Nord Europa e ritorno attraverso il Capo di Buona Speranza, significa che una linea deve impiegare 16 navi per un servizio settimanale, invece delle normali 12.
Alcune navi, tuttavia, stanno ancora attraversando il Canale di Suez. Pechino è rimasta neutrale rispetto agli attacchi Houthi, ma i prezzi dei noli hanno colpito anche le aziende cinesi.
Essendo l’Europa uno dei principali partner commerciali, la rotta è importante per la Cina, che ha invitato
“tutte le parti interessate” a “garantire la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso”.
Alcune economie stanno già avvertendo pesantemente gli effetti della crisi. L’Egitto è probabilmente uno di queste, data la sua dipendenza dalla navigazione attraverso il Canale di Suez, che ha raccolto più di 9 mld $ in tasse di transito nell’ultimo anno fiscale.
Gli economisti si aspettavano che l’impatto sui prezzi dei beni sarebbe stato relativamente contenuto.
Ma ora crescono le preoccupazioni per gli effetti a catena, più significativi per le materie prime, compreso il petrolio, nel caso in cui le forze statunitensi venissero risucchiate ulteriormente in una crisi regionale che infuria dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre.
Ana Boata, responsabile della ricerca macroeconomica presso Allianz Trade, ha affermato che la situazione non è ancora un “segnale di allarme” per l’economia globale, ma ha aggiunto che “l’impatto sulle catene di approvvigionamento globali potrebbe diventare più grave” se la crisi si protrarrà oltre la prima metà dell’anno.
Tuttavia, si inizia a registrare un possibile trend positivo: il costo dei noli ora sta calando, grazie alle misure organizzative adottate dagli armatori ed alla portualità che, anche per una serie di interventi del Governo, sta aumentando la capacità di risposta in termini di velocità e risparmio complessivo.
“L’emergenza sta diventando il quotidiano, ma le risposte sembrano immediate e se la durata della crisi sarà contenuta le conseguenze non saranno particolarmente gravi”, lo ha detto Rodolfo Giampieri, presidente di Assoporti, intervenuto al format di The Watcher Post, aggiungendo: “…è compito del sistema fare in modo che il peso di questa situazione non ricada sul consumatore.
Un’auspicabile rapida soluzione al conflitto è di grande importanza per evitare forti impatti sul comparto”.
Crisi del Mar Rosso: minacce ed opportunità.
Impatto sulle materie prime: oltre al petrolio e al gas, la regione è importante per il trasporto di altre materie prime come metalli e prodotti agricoli.
Interruzioni possono causare volatilità nei prezzi di queste risorse a livello globale. I prezzi del gas e del petrolio finora non ne hanno risentito eccessivamente: il petrolio greggio WTI, alla fine della settimana scorsa, rimane rialzista di oltre il 4%, con il Brent a 80 dollari al barile.
Per quanto riguarda il gas, sul mercato di Amsterdam, di riferimento per l’Europa, nell’ultima seduta della settimana il metano è cresciuto di quasi il 4% a 32 € al Megawattora, staccandosi dai minimi di novembre 2021 sui quali viaggiava finora.
Prodotti agroalimentari: la crisi del Mar Rosso può mettere a rischio circa mezzo miliardo di euro di esportazioni di questi prodotti verso il Medio Oriente, l’India e il Sud-est asiatico.
Consideriamo la crescita significativa dell’export agroalimentare italiano verso i mercati asiatici, che negli ultimi dieci anni ha registrato un incremento del 128%, raggiungendo un valore di oltre 6 miliardi di euro,
circa il 10% dell’export agroalimentare italiano.
L’Italia si posiziona al quinto posto tra i principali paesi esportatori di prodotti agricoli e alimentari verso l’Asia, secondo un report di Ismea, dietro Paesi Bassi, Francia, Spagna e Germania.
Inflazione: l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia può alimentare l’inflazione a livello globale, aumentando i costi per consumatori e imprese e potenzialmente influenzando le politiche monetarie delle banche centrali. Al momento, l’inflazione in Italia è scesa a dicembre a +0,6% annuo da +0,7%. Ma è balzata in Germania, +3,8% da +2,3% ed in Francia, +4,1% da +3,9%.
La media dell’Eurozona è risalita al +2,9% dal 2,4 %. Il divario è dovuto ai diversi andamenti dei prezzi energetici, che ora calano molto di più in Italia, -24,7%, che in Europa, -6,7%. In Italia i prezzi core di beni e servizi sono tornati sotto il 3%, mentre nell’area euro sono al 3,4%.
Le tariffe di trasporto non sono ancora aumentate abbastanza da influenzare i prezzi al consumo, ma la situazione potrebbe cambiare, come ha detto ai parlamentari il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey.
Egli ha sottolineato il rischio che costi di spedizione più elevati facciano risalire l’inflazione.
Vincent Clerc, capo del gigante marittimo AP Møller-Maersk, parlando al Financial Times prima degli scioperi negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ha affermato che potrebbero volerci mesi per riaprire la rotta del Mar Rosso, rischiando un colpo economico e inflazionistico per l’economia globale.
La voce di Clerc ha un peso: Maersk è vista come un indicatore del commercio globale, trasportando circa un quinto del trasporto marittimo.
Tuttavia, Møller-Maersk giovedì 8 febbraio è andata a picco alla Borsa di Copenhagen, perdendo fino al 17%, dopo aver comunicato risultati e outlook molto peggiori del previsto: tanto brutti da convincerla ad interrompere con effetto immediato il programma di riacquisto di azioni proprie in corso dal 2022 (oltre che a tagliare la cedola dell’88% rispetto all’esercizio precedente).
È una serie di notizie negative che ha colto di sorpresa il mercato e che delineano uno scenario molto pessimista non solo per il gruppo danese, ma in generale per il settore dello shipping.
I politici economici considerano il conflitto un “rischio al rialzo” per l’inflazione, che sembra però in calo nelle principali economie.
I banchieri centrali, come il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey, sono relativamente ottimisti, osservando che i prezzi del petrolio non hanno avuto l’effetto negativo temuto.
Anche se le tariffe di trasporto sono al di sotto dei massimi raggiunti durante la pandemia, Julian Hinz e Simon MacAdam sottolineano che l’impatto sui prezzi al consumo dovrebbe essere limitato, dato che i costi di trasporto rappresentano una piccola percentuale del valore dei beni e che la maggior parte delle merci viene trasportata a tariffe contrattuali a lungo termine.
MacAdam aggiunge che i livelli di inventario dovrebbero aiutare le aziende a gestire tempi di spedizione più lunghi e che il rallentamento della domanda a seguito dell’aumento dei tassi di interesse potrebbe
limitare la capacità delle aziende di trasferire ai clienti costi di spedizione più elevati.
Tuttavia, gli analisti avvertono che una interruzione prolungata sarebbe più problematica.
Oxford Economics ha stimato che, se il Mar Rosso rimanesse chiuso per mesi, le tariffe di spedizione più
elevate potrebbero aumentare l’inflazione di 0,7 punti percentuali entro la fine del 2024.
In tale scenario, le banche centrali potrebbero iniziare a ridurre i tassi di interesse, ma non quanto gli investitori potrebbero aspettarsi.
ISPI, basandosi sul recente aumento dei costi di trasporto e tenendo conto di diversi “correlati”, cruciali nella capacità di assorbire gli shock sui prezzi (come la diversa efficacia delle politiche monetarie), stima che, perdurando lo stato di crisi, nel complesso, l’inflazione complessiva in Europa aumenterebbe dell’1,8% entro 12 mesi e durerebbe quanto la crisi stessa.
L’inflazione “core” (inflazione calcolata senza tenere conto dei beni soggetti a forte volatilità) registrerebbe invece un aumento dello 0,7% rispetto ad uno scenario senza crisi.
L’impatto sul resto del mondo sarebbe più moderato: +0,8% l’inflazione complessiva e +0,3%
l’inflazione core.
Tomasz Wieladek nota che anche il trasporto marittimo globale è sotto pressione a causa della siccità nel Canale di Panama, aumentando il rischio inflazionistico.
Il rischio più serio rimane un potenziale conflitto più ampio in Medio Oriente che potrebbe destabilizzare i mercati del petrolio e del gas.
Nonostante il conflitto Israele-Gaza, i prezzi del petrolio sono scesi negli ultimi mesi grazie a capacità inutilizzata, domanda in calo e forti forniture non OPEC+.
Tuttavia, c’è stata una recente impennata dei prezzi del petrolio, con il Brent che ha guadagnato l’1,3% a 88,77 dollari al barile.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto ai giornalisti di essere “molto preoccupato” per l’impatto delle ostilità sui prezzi del petrolio, aggiungendo “ecco perché dobbiamo fermarlo”.
Rischi per la catena di approvvigionamento: le aziende che dipendono da materie prime, energia e merci trasportate attraverso il Mar Rosso potrebbero affrontare interruzioni della catena di approvvigionamento, con impatti sulla produzione e sulla disponibilità di prodotti finiti.
Settori come quello elettronico e automobilistico. Alcune case automobilistiche che fanno affidamento su componenti in arrivo via mare hanno risentito dell’impatto, con Tesla in Germania, Volvo Cars in Belgio e Suzuki in Ungheria che hanno interrotto alcune linee di produzione di veicoli.
L’industria automobilistica è particolarmente vulnerabile a causa dei suoi processi produttivi “just in time”, senza grandi scorte. Tuttavia, un leggero aumento dei livelli delle scorte a seguito della crisi avvenuta negli ultimi anni ha reso i problemi meno gravi di quanto sarebbero stati altrimenti.
Con notevole previdenza, la tedesca Volkswagen ha dichiarato di aver ricevuto pezzi in Europa dall’Asia attraverso il percorso più lungo fin da dicembre. Il cambiamento ha aumentato i costi ma ha evitato i problemi di produzione che avevano colpito altri produttori.
Nel settore alimentare, la francese Danone ha affermato che inizierà ad attuare “piani di mitigazione”, compreso l’uso di alternative come il trasporto aereo, se l’interruzione del Mar Rosso dovesse durare più di due o tre mesi.
Nel settore della vendita al dettaglio, il Gruppo Pepco, che possiede la catena di sconti Poundland e gestisce quasi 3.500 negozi discount di abbigliamento in tutta Europa, ha avvertito che la situazione sta portando a costi di trasporto più elevati e consegne più lente ed ha avvertito che “un problema prolungato nella regione potrebbe anche avere un impatto sull’offerta nei prossimi mesi”.
I prodotti generici, come l’abbigliamento, vengono generalmente ordinati con mesi di anticipo,
lasciando i rivenditori meno esposti rispetto alle aziende che si affidano alla consegna just-in-time.
La speranza è che i modelli di servizio delle compagnie di navigazione si “stabilizzino” man mano che gli arrivi attraverso il Capo si organizzeranno in uno schema regolare.
Fino ad allora, i clienti che effettuano spedizioni dovranno sopportare l’imprevedibilità della catena di approvvigionamento.
Ma è indubbio che la crisi preannunci un duro colpo alla globalizzazione, sostiene Alan Beattie, redattore esperto del Financial Times. Questo, tuttavia, potrebbe incentivare fenomeni di “reshoring” delle aziende: ne parleremo tra poco.
Tuttavia, escludendo una forte escalation del conflitto, le catene di approvvigionamento, almeno per il momento, sembrano avere abbastanza flessibilità per assorbire la tensione aggiuntiva.
Import – Export: le dinamiche sono molto eterogenee.
Si sono riconfigurate le filiere: sono aumentate le connessioni con gli Usa, è diminuita fortemente la quota cinese in Italia di prodotti elettronici e ICT, ma c’è stato un boom di acquisto di autoveicoli cinesi, mentre si sono dimezzate le rispettive vendite italiane in Cina.
L’interruzione degli scambi commerciali è la più grave dai tempi della pandemia di Covid-19 e ha aumentato i costi di spostamento delle merci via mare ai livelli più alti registrati al di fuori di quel periodo.
Alcuni spedizionieri si stanno rivolgendo al trasporto aereo per le merci a più altro valore aggiunto, facendo salire i prezzi: il costo medio per trasportare 1 kg di merce dal Medio Oriente all’Europa è aumentato del 35% nell’ultimo mese.
Impatto sui mercati finanziari: la percezione del rischio legata alla crisi può influenzare i mercati finanziari, causando volatilità negli indici azionari, nei prezzi delle obbligazioni e nei valori delle valute, specialmente per le economie più dipendenti dalle importazioni di energia.
Sui tassi ci sono attese al ribasso, ma questo contesto potrebbe frenare le mosse della BCE e i tassi potrebbero rimanere alti per alcuni mesi con effetti sul credito: a novembre c’è stato un ennesimo aumento del costo del credito per le imprese, 5,59% in media.
Viceversa, per il secondo mese si è attenuata la caduta dei prestiti, -4,8% annuo da un minimo di -6,7, ma il credito resta un fattore di freno per investimenti e consumi.
Attenzione ai contratti.
Nel frattempo, le aziende che vogliono mitigare le conseguenze per inadempimenti o rallentamenti nell’esecuzione della propria prestazione a causa dei ritardi negli approvvigionamenti devono prima di tutto controllare i contratti in essere, comprendere in particolare se ci sono clausole specifiche o rimedi che, per legge, possano attenuare le conseguenze per questi ritardi.
È poi da prestare grandissima attenzione ai nuovi contratti, per prevedere rimedi appositi per la gestione di emergenze e problematiche, ma anche per gestire costi che magari si trascuravano in precedenza, come quelli di trasferta e di consegna, soprattutto quando l’oggetto sono impianti complessi o anche merci che richiedano più approvvigionamenti dall’estero.
Opportunità.
Si aprono possibilità di “reshoring”. È il fenomeno delle aziende che riportano la produzione più vicina alle loro sedi centrali, spostandola dai Paesi asiatici, come la Cina o il Vietnam, verso località più vicine.
Questo fenomeno sta diventando particolarmente comune nei paesi dell’Est Europa, in particolare in Romania, dove l’Italia è il principale investitore con 23.000 imprese a partecipazione italiana, rappresentando il 21% del totale secondo l’Osservatorio Economico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Il reshoring nell’Est Europa è in fase di crescita, come evidenziato dalle numerose richieste di consulenza ricevute dalle imprese per gestire la transizione del modello produttivo.
Le aziende tendono a spostare la produzione dalla Cina all’Europa, spesso preferendo l’Est Europa, come la Romania, non solo per la vicinanza alle sedi italiane ma anche per le opportunità nel settore energetico, infrastrutturale e per l’accesso a mercati interni in espansione.
Tuttavia, il processo richiede competenze specifiche, soprattutto in ambito legale e fiscale, ed è essenziale per le aziende creare una struttura dedicata con l’esperienza e la preparazione adeguata a gestire tale processo.
Opportunità di rilancio per alcune rotte: alcuni porti italiani potrebbero sfruttare la situazione per posizionarsi come alternative logistiche o come hub di trasbordo per le merci dirette verso altre destinazioni europee, investendo in capacità di stoccaggio e in servizi logistici aggiuntivi.
Una visione geostrategica.
Occorre riflettere sulle vulnerabilità geopolitiche dell’Italia nel Mediterraneo, un’area cruciale per il commercio internazionale e l’energia diretta in Europa.
L’Italia dipende dal libero accesso alle rotte oceaniche, ma le chiavi del Mediterraneo sono in mani
altrui.
Russia, Cina e Turchia seguono ognuna una propria strategia, ma tutte e tre influenzano le aree di
interesse dell’Italia.
La Russia sta espandendo la propria influenza nel Mediterraneo e in Africa, rioccupando ex basi sovietiche e approfittando della debolezza europea e dell’interesse limitato degli USA per il continente africano. Utilizza un mix di soft power che include terzomondismo e tradizionalismo antioccidentale e si sta spingendo verso le coste meridionali e orientali che guardano all’Italia, non solo con la presenza di mercenari del Gruppo Wagner.
L’avanzamento della Cina nel Mediterraneo è caratterizzato da un approccio più economico che mira a sostituire gli Stati Uniti come partner strategico nella regione, investendo in infrastrutture portuali ed energetiche, specialmente vicino al Canale di Suez.
La Turchia, guidata da Erdoğan, sta cercando di riaffermare la propria presenza nel Mediterraneo e in altre aree affacciate su mari vicini all’Italia, comprese le rotte migratorie chiave verso l’Europa.
Sono legittime le preoccupazioni sulla capacità dell’Italia di gestire queste sfide strategiche: ricorre la necessità di una strategia marittima che consideri “la terra dal mare” e che integri il punto di vista nazionale con quello internazionale.
Il rischio è che l’Italia possa diventare sempre più irrilevante per gli Stati Uniti e più vulnerabile alle
azioni di potenze concorrenti o ostili.
Tutto questo apre il tema di quanto importanti siano le Zone economiche esclusive (ZEE) che estendono la sovranità degli Stati litoranei dal territorio al mare e sono protette dalle Marine militari.
Turchia e Algeria sono esempi di nazioni che hanno esteso le loro pretese marittime, con la Turchia che si è insediata a Tripoli e l’Algeria che considera parte del Mar di Sardegna come area di propria influenza.
Va criticata la mancanza di azione dell’Italia nel definire la propria ZEE, nonostante una legge del 14 giugno 2021 l’autorizzi.
La passività dell’Italia in questo contesto è un rischio, dato che il Mediterraneo è scenario di tensioni crescenti, come dimostrato dal conflitto in Ucraina e dall’escalation tra Israele e Hamas.
È urgente una strategia marittima nazionale per l’Italia.
La necessità di un approccio “globale” alla portualità. Il nuovo Codice dei contratti mira a essere una disciplina onnicomprensiva che regola non solo l’acquisto di lavori, forniture e servizi, ma anche la loro programmazione e approvazione.
Una delle conferme di questo approccio è l’eliminazione del piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che, sebbene avesse una certa importanza come riferimento per le politiche connesse ai trasporti (come la produzione industriale, l’energia, la pianificazione del territorio e la politica ambientale), era considerato scarsamente efficace.
Il PGTL era fondamentale nella definizione delle aree logistiche nel quadro dei sistemi aeroportuali e portuali, questi ultimi influenzati anche dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e oggetto di discussione politica riguardo la loro gestione, se autonoma o centralizzata.
Il testo pone domande su come verrà gestita la pianificazione dei trasporti senza il PGTL, dato il suo ruolo come riferimento utile per le pianificazioni regionali e provinciali e interroga sul futuro della filiera della pianificazione dei trasporti, che si estende fino ai piani delle città metropolitane e urbane e su come questi potranno operare senza riferimenti di scala maggiore.
Invece del PGTL, il Codice introduce lo “schema direttore”, un concetto comune ad altre pianificazioni, che alcuni hanno paragonato all’elenco di opere della “legge obiettivo” del 2001.
Tuttavia, a differenza di tale elenco, che comprendeva opere strategiche derivanti da una visione unitaria del Paese, lo schema direttore non sembra avere una natura giuridica definita e non è chiaro come verranno stabilite le priorità di intervento senza un quadro di pianificazione e programmazione definito.
Ad esempio, se lo schema direttore intendesse sostituire i piani o programmi mantenendone la funzione, dovrebbe essere sottoposto a valutazione ambientale (VAS).
In conclusione, il tentativo del Codice di essere onnicomprensivo sembra aver creato dei vuoti nel processo pubblico di decisione su un’area di grande rilevanza, lasciando spazio a potenziali decisioni strategiche e priorità stabilite dalla politica UE anziché a livello nazionale.>>
Prof. Paolo Poletti. Università Link Roma