Affermare che un libro di storia è sempre un’opera di storia contemporanea non basta per spiegare l’importanza di un volume che possa guardare, con approccio interdisciplinare, a una particolare forma di produzione audiovisiva, l’ex (?) cinema di propaganda. Quest’ultima è la parola fulcro che ci aiuta a comprendere il lavoro di Mariangela Palmieri, docente di Storia del cinema all’Università degli Studi di Salerno, la cui ricerca si concentra sull’audiovisivo come fonte storica. Ma di quale oggetto stiamo parlando, allora, e qual è la contemporaneità della sua analisi? Sotto il nostro obiettivo ci sono le pagine di Schermi nemici. I film di propaganda della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano (1948-1964) pubblicato da Mimesis Edizioni con prefazione di Pierre Sorlin (Collana «Passatoproximo», pp. 182, 17 Euro).
Un’opera che guarda ad un’epoca cronologicamente lontana ma storicamente ancora ricca di significati per il nostro presente. Almeno per due motivi. Il primo perché viviamo nella cosiddetta società dello schermo – digitale ovviamente – in cui non esiste attività umana che non passi attraverso la dimensione totalizzante del virtuale è reale. Il secondo perché se si guarda con attenzione un pezzo della produzione cinematografica recente, sono diversi i film che trattano la storia italiana nei suoi aspetti democraticamente più urgenti e controversi: il femminismo in C’è ancora domani di Paola Cortellesi; il ventennio del fascismo, la guerra e il “diritto del mare” nel trattato Comandante di Edoardo De Angelis; migrazione in Io capitano di Matteo Garrone (nominato all’Oscar 2024 come miglior film internazionale) e la questione irrisolta lavoro-ambiente-salute nei luoghi di lavoro Edificio Laf di Michele Riondino.
È forse utile quindi soffermarsi sui meccanismi di costruzione del consenso – eredità della stagione fascista e della “splendente” stagione LUCE – e di una visione del mondo che guarda al passato, in un’epoca in cui la scena politica italiana era dominata da la voluminosa presenza della DC e del PCI, i partiti più protagonisti del dopoguerra capaci di incarnare e diffondere, in un contesto di logica geo-politica bipolare, valori e idee di società opposte (capitalismo versus comunismo). Uno scontro che nasceva dal conflitto Usa-Urss e che vedeva il suo nodo principale in un complesso meccanismo di propaganda che coinvolgeva anche ciò che gli italiani guardavano sui grandi schermi dell’epoca. Perché la DC e il PCI, rispettivamente partiti di governo e di opposizione, istituirono sezioni cinematografiche che avevano il compito e lo scopo di produrre, autonomamente o su commissione, film di propaganda sotto forma di opere di fiction e saggistica, di animazione, di cortometraggi, di medium e lungometraggi, molti dei quali reperibili sui canali web dell’Istituto Luigi Sturzo e dell’Archivio del movimento operaio e democratico-AAMOD.
Opere alle quali l’autore dà oggi una nuova voce, facendole parlare, confrontandole, mostrando la lotta vigorosa tra i soggetti in gioco, le ideologie opposte, le narrazioni contrastanti che focalizzavano lo sguardo sulla stessa realtà italiana. Quella di un Paese uscito a pezzi dalla Seconda Guerra Mondiale e alle prese con una faticosa, ma poi inarrestabile e tumultuosa, modernizzazione. È in questo contesto che è nato e si è sviluppato un ampio corpus audiovisivo capace di rappresentare “l’identità dei due partiti” e le loro “culture di riferimento” (quella cattolica e quella marxista) su cui si fonda l’analisi di Schermi amministrazione . tuffa, (forzando) il tutto tra due anni chiave della storia italiana, interessanti spunti di orientamento in questa estenuante battaglia che vede dipanarsi la logica ma anche i grandi interrogativi della Guerra Fredda. Se il 1948 è infatti l’anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e delle elezioni del 18 aprile, dal canto suo il 1964 conserva nei suoi archivi la morte di Palmiro Togliatti, l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole e il tentato De Colpo di stato di Lorenzo.
Nei sette capitoli che compongono il volume si vedono progressivamente e emergono temi molto attuali: le battaglie contro l’astensionismo (Può succedere a noi, Dc, 1949), guerra e pace (Gli uomini vogliono la pacePCI, 1958), la questione meridionale (Al Sud qualcosa è cambiatoPCI, 1949; È nata una speranzaDc, 1952), le figure dei leader (Togliatti è tornatoPCI, 1948; Alcide De GasperiDc, 1958), i tentativi di rilettura della storia (Il percorso verso la libertàPCI, 1951; Idolo rotto, DC, 1956). Altrettanti numerosi sono gli elementi di differenza che emergono dall’analisi delle strategie propagandistiche dei due partiti. Qualche esempio. Se il PCI si rivolgeva principalmente ai suoi militanti con opere distribuite nei luoghi della militanza e della formazione comunista, la DC, grazie invece ad una distribuzione trasversale capace di raggiungere le sale parrocchiali e commerciali, si rivolgeva invece a un pubblico più ampio, fatto di “uomini del road” e nuovi elettori convinti della bontà della loro parola. Se il PCI si avvaleva dietro la macchina da presa dei grandi autori del cinema dell’epoca (Lizzani, Maselli, Pontecorvo, Petri, Paolo e Vittorio Taviani) per apporre un “sigillo di qualità” sulle loro opere, la DC sceglierà invece di strizzare l’occhio alla cultura di massa utilizzando personaggi molto apprezzati come testimonial (Eduardo De Filippo, Aldo Fabrizi, Domenico Modugno).
E qui sta forse l’elemento più interessante della ricerca di Mariangela Palmieri, ovvero il rapporto che i due partiti e le loro strategie narrative hanno, dal punto di vista linguistico, con la modernità. Lo stile documentaristico degli audiovisivi targati PCI contrasta con lo “stile più vario” del documentario, della fiction, schizzo e cartoni animati DC. Il linguaggio della Dc risponde alla “cultura alta” portata avanti dal Pci, influenzata da “modelli di comunicazione politica americana”. Tutto questo, fino alla prima metà degli anni Sessanta, quando “il marketing politico cominciò a farsi strada” e la comunicazione politica “si adattò al piccolo schermo, mutuandone i linguaggi e l’immaginario politico di riferimento”.