La politica internazionale è più importante della politica nazionale non perché riguardi gli Stati, ma perché riguarda maggiormente i privati. Giusto. Cambiando governi si possono pagare un po’ più o un po’ meno tasse, si può cambiare il codice della strada e si può fare una riforma della scuola, ma alla fine c’è gente che di politica interna non si occupa affatto di politica interna e vive molto bene comunque.
Perché la politica interna governa sempre il Paese con l’intento di amministrarlo e non di distruggerlo, e con la speranza di fare il bene dei cittadini. Il tutto in un ambiente pacifico, in cui ognuno (almeno in una democrazia) è abbastanza libero di vivere come vuole.
Al contrario, se un altro Paese ci attacca o se il governo ci coinvolge in una guerra, la politica internazionale riesce a sconvolgere le nostre vite. Nessun disturbo in tempo di pace può essere paragonato a una guerra. Da un giorno all’altro puoi essere strappato alla famiglia, alla casa e al lavoro per andare a giocare ai soldatini, con l’unico inconveniente che in questo caso muori davvero.
Per far bene si vive in trincea, al freddo o al caldo, in compagnia dei pidocchi. Ma soffrono anche i civili: dietro le quinte comincia a mancare tutto, non siamo più liberi come prima, anche stando a casa rischiamo che una bomba ci faccia crollare addosso i piani di sopra. Non c’è davvero paragone. E anche senza parlare di guerra, se quattro terroristi yemeniti cominciassero a lanciare razzi nel Mar Rosso, il prezzo della benzina salirebbe alle stelle. Se Putin invadesse l’Ucraina, il risultato sarebbe un aumento sostanziale della spesa militare e una corrispondente diminuzione delle risorse da destinare ad altri beni. La politica interna può guardare all’oggi e al domani, la politica estera deve guardare anche a dopodomani. Sempre con la paura di fare troppo o troppo poco.