La Francia muove grandi passi nel settore dell’auto. Con il governo di Parigi, azionista sia di Stellantis (quota del 6,1% che sale al 9,1% dei diritti di voto) sia di Renault (15%), che pensa in grande. L’idea, che circola in queste ore, è quella di una fusione tra i due gruppi automobilistici. Un matrimonio sotto la regia dell’esecutivo guidato dal presidente Macron. L’obiettivo, dicono fonti finanziarie, sarebbe quello di aumentare la propria presa sul settore e la leadership in Europa, creando una linea Maginot contro i sempre più temuti e aggressivi competitor cinesi e tedeschi.
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LE LINEE GUIDA
Una mossa, ovviamente ancora da confermare, che da un lato diluirebbe la quota italiana detenuta dalla famiglia Elkann (attualmente in minoranza in Stellantis) e, dall’altro, consentirebbe ai transalpini di mantenere una presa salda sulla società, anzi di rafforzarla. Un matrimonio, aggiungono sempre fonti finanziarie, anche per neutralizzare o rendere più oneroso un eventuale ingresso dello Stato italiano in Stellantis finalizzato alla difesa degli interessi strategici del nostro Paese e, soprattutto, dei livelli occupazionali. A Torino, invece, cambierebbe ben poco. La famiglia Elkann-Agnelli, se il piano andasse in porto, si troverebbe proiettata in un maxi gruppo da quasi 16 milioni di auto prodotte, anche se con potenze inferiori. Del resto, ad aprire alle nozze Stellantis-Renault, proprio quando il governo italiano chiedeva di aumentare la produzione, condizionando l’arrivo degli incentivi a impegni concreti, era stato l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, scelto dagli Elkann per succedere a Marchionne. Il top manager portoghese, che ha sollevato dubbi sul destino di Mirafiori e Pomigliano, ha parlato esplicitamente della necessità di un consolidamento in Europa. “Noi di Stellantis – ha detto in sostanza a Bloomberg – vogliamo essere pronti, vogliamo essere parte del consolidamento”. Anche perché il consolidamento “arriverà e metterà il mondo occidentale in difficoltà. Le attuali regole antitrust sono controproducenti per fronteggiare l’offensiva cinese. A un certo punto, se devi finanziare una tecnologia molto costosa e non hai economie di scala, finisci nei guai. Fortunatamente, grazie all’Unione Europea, siamo riusciti a creare Stellantis. Se non lo avessimo fatto, avremmo dovuto affrontare un problema profondo. FCA sarebbe nei guai e PSA sarebbe nei guai. Quindi, quella è stata la mossa giusta al momento giusto”.
Ora Tavares pensa soprattutto al futuro. “Guardo”, ha detto, “a cosa sta facendo la Renault, a come si sta muovendo”.
LA POLEMICA
Non si placa la polemica con sindacati e governo sul futuro delle fabbriche italiane e sui livelli occupazionali. Un ingresso dello Stato in Stellantis, per riequilibrare i poteri, sarebbe però molto costoso. Per acquisire il 6,1% servirebbero circa 4 miliardi di euro, considerando che il gruppo ha attualmente una capitalizzazione di oltre 67 miliardi. In ogni caso Roma rischierebbe di contare sempre meno dei francesi: le holding delle famiglie Agnelli e Peugeot hanno rispettivamente il 14,2% e il 7,1%, ma dato quanto stabilito dallo statuto per chi detiene azioni da almeno tre anni, hanno esercitato la possibilità di aumentare i diritti di voto al 23,13% e all’11,1%. E lo stesso ha fatto la Francia, tramite Bpifrance, salita al 9,6%.
Ieri è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani a tornare all’attacco. “La preoccupazione più grande – ha detto – è la difesa dei posti di lavoro e spero che Stellantis possa continuare a produrre auto in Italia, è importante che l’Italia possa continuare a essere il secondo produttore in Europa”. Lo stesso ministro Adolfo Urso ha poi ricordato che negli ultimi anni il 40% degli incentivi è andato a Stellantis, ma la metà di questi è finita su modelli prodotti all’estero e importati in Italia.
“Ho sollevato la questione Stellantis – ha aggiunto Carlo Calenda, leader di Azione – fin dalla nascita di Stellantis, anzi da prima, da quando il Governo Conte 2 ha dato una garanzia di 6,3 miliardi agli Elkann per pagare un dividendo di 2,9 miliardi in Olanda. Da allora ho continuato a dire che non si tratta di una fusione, ma di una cessione ai francesi di un asset industriale fondamentale. Il ricatto di Tavares nel dire “o ci date gli incentivi o chiudiamo le fabbriche” è inaccettabile”.
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