Matteo Flamigni era incredulo e anche preoccupatoValentino Rossi, lasciando i semimanubri della Yamaha M1 nelle mani dei meccanici del nuovo team, ha subito cercato il suo telemetrista di fiducia che, vedendo il pilota togliersi il casco, non sapeva cosa pensare. Il riscaldamento della GP della Malesia 2004 aveva fatto segnare il miglior tempo del numero 46, leader della classifica e con in mano il sesto titolo mondiale, il primo vestito di blu Yamaha.
Sollevato alla visiera, il sussurro di parole indimenticabili tra il professionista dei dati, della grafica e dell’elettronica e la persona che sta assistendo direttamente: “Ho chiesto a Vale se andava tutto bene” il ricordo del cinquantatreenne oggi capotecnico di Marco Bezzecchi nel team Mooney-VR46 equipaggiato Ducati. “Sembrava piuttosto soddisfatto, poi… mi ha sorpreso, rivelando un volto scuro. Ha detto che non poteva fare un’impennata, semplicemente non poteva farlo. Avevamo ancora la gara da fare, e stava già pensando a come festeggiare la vittoria! Una vittoria possibile e sperata, perché c’erano così tante variabili nel caso. Ma lui era così sicuro che mi faceva sentire assolutamente sicura.”.
Matteo Flamigni: gli esordi, Valentino Rossi
Fu una conquista storica e unica.
“Sì, e anche una conferma, impreziosita dal primo posto di domenica a Sepang, che ci ha lanciato veloci e sicuri verso Phillip Island, dove abbiamo confermato l’impresa. Quell’aneddoto non è preso a caso ma, se me ne chiedete altri, non saprei cosa rispondervi. Ne ho troppi, davvero troppi”.
Chissà quante emozioni hai collezionato nella tua carriera.
“Infinito. Ho iniziato nella Superbike a metà degli anni ’90occupandomi di acquisizione dati e analisi casi. A braccetto con la passione e una laurea in Ingegneria Elettronica conseguita a Bologna, il gioco si è trasformato in lavoro. Sono passato dalle derivate di serie guidate da Gianmaria Liverani e Pierfrancesco Chili ai prototipi 500 due tempi, seguendo le Yamaha YZR di Luca Cadalora e Troy Corser. Era il 1997, nel 1998 ero al fianco di Alex Barros nel Team Honda Gresini, nel 1999 mi occupavo della NSR 250 di Loris Capirossi, sempre nella struttura di Fausto, nel 2001 sono passato alla Yamaha ufficiale guidata da Max Biaggi, nel 2003 c’era Marco Melandri, poi è arrivato Rossi. Con Valentino è cambiato tutto: il sistema, l’atmosfera, il metodo. E i risultati.”
Quel 2004, nel passaggio da Honda a Yamaha, rimarrà unico.
“Giusto, Vale ha riportato di moda la M1prima costretti al centro del gruppo o nelle retrovie. L’unico podio conquistato da Barros l’anno prima spiega bene la situazione, mentre Rossi ha centrato subito l’obiettivo prefissato, quel titolo definito da tutti impossibile, una scommessa solo a pensarci”.
Studiando le tracce e gli algoritmi di Valentino, cosa hai notato?
“Una grande ripetitività e una costanza di rendimento impressionante in gara, nel martellare cronometro e avversari. Poi la capacità di far scivolare velocemente la Yamaha in curvaseguito da una frenata micidiale e da una successiva curva rapidissima e precisa. E posso dire che…”.
Che cosa?
“Anche per me è incredibile. Dopo aver annunciato il suo ritiro, alla fine dell’ultimo GP, a Valencia, durante la cena serale mi ha preso da parte, facendomi un pensiero: ‘Sai Matte, per me la moto girerebbe meglio se facessi così…’. Ho capito davvero quanto Valentino fosse avanti anni luce. E lo era”.
Quando Valentino si è fermato, anche una parte di te si è fermata.
“Confermo pienamente, in effetti ho scelto di cambiare lavoro. Mi sentivo il telemetrista di Rossi, con cui ha condiviso trionfi e sconfitte, successi e momenti difficili, epoche diverse in Yamaha e anni in Ducati. Sembra ieri che abbiamo iniziato, invece ho lavorato con Rossi per quasi vent’anni. Volevo mettermi alla prova in modo diverso, eccomi qui”.
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La nuova vita di Matteo Flamigni con Marco Bezzecchi
Ecco Marco Bezzecchi con la sua Desmosedici: tu sei il capo meccanico.
“Il mio lavoro è più complesso: mercoledì e giovedì si adattano le moto alla pista in questione, si fa un programma di gestione delle gomme, considerando le durate per la Sprint e il GP, si ascoltano i commenti del pilota, modificando successivamente quanto richiesto. La moto deve essere cucita su misura per lui. Richiede esperienza, improvvisazione e allo stesso tempo studio. Inoltre, è opportuno controllare il meteo. Seguo diversi aspetti del GP22nell’intero veicolo, a 360 gradi: pneumatici, freni, finiture, telaio, sospensioni e tutto il resto. Controllo anche l’elettronica, mentre ci sono (passeggiata)”.
Notate qualche somiglianza tra Bez e Vale?
“Marco è efficace nei settori veloci, stessa caratteristica di Rossi. Il denominatore comune tra i due, ma vale anche per i membri dell’Academy, resta comunque la capacità di leggere e interpretare i dati. Bezzecchi si sofferma a lungo con me, prestando attenzione ai grafici, che sono condivisi anche da Ducati: il confronto con le altre Desmosedici è possibile, e Marco è sempre metodico e meticoloso, come lo era Vale”.
Quanto è cambiata la MotoGP?
“Enormemente. Oggi abbiamo una sezione aerodinamica influente, che influisce sulle strategie anti-wheelie. Il controllo di trazione interviene in modo diverso, il rapporto di trasmissione richiede impostazioni particolari. È cambiato molto, ma ho notato una cosa piacevole”.
Che cosa?
“Il pilota fa ancora la differenza. Le due vittorie di Bezzecchi in Argentina e Francia ne sono la prova: ha lasciato dietro di sé sette Ducati, cioè MotoGP della stessa marca. Alla fine, vince sempre uno, lo ha fatto Marco. Con lui, ho vinto io. E non pensavo”.
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