Parlare di difesa europea e del suo finanziamento in questo momento storico così delicato e complesso non è facile, perché si rischia di fregiarsi dell’etichetta semplicistica e alternativa di guerrafondai o pacifisti. Occorre però cercare di pensare in modo equilibrato alla sostanza dei problemi, che esistono e non possono essere cancellati.
Come è noto, il progetto di difesa europea non è recente poiché già il 27 maggio 1952, restituendo la piena sovranità nazionale alla Germania Ovest, veniva firmato a Parigi il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa, con il provvedimento di sviluppare lo Statuto della Comunità Politica Europea, cioè l’organo politico responsabile del controllo dell’esercito europeo. Tuttavia, sia questo che la CED non videro mai la luce dopo che l’Assemblea nazionale francese respinse il Trattato il 30 agosto 1954. D’altro canto il progetto era troppo ambizioso senza considerare la mitigazione dei rischi di un nuovo conflitto mondiale.
La questione non si pone più anche perché l’integrazione europea è di per sé sinonimo di pace avendo cancellato, per diverse ragioni, lo scoppio di un conflitto tra i Paesi membri e i loro popoli. Per un’Europa devastata da secoli di guerre continue questo è già un risultato enorme, anche se sottovalutato. Inoltre, ci ha permesso di ridurre al minimo le spese militari per decenni, lasciandole a costituire in gran parte un peso per gli Stati Uniti, ma limitando così il nostro ruolo nella NATO.
Non è un caso, del resto, che il valore della pace sia più volte sancito nei Trattati di Lisbona, tanto da essere ribadito come segno distintivo del progetto. All’art. 3 Il vostro afferma non solo che «L’Unione mira a promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli», con una significativa conferma nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali, ma che tale valore si estende a tutto l’insieme Comunità internazionale nel rispetto reciproco tra i popoli. Pertanto, parlare di “difesa” nell’Unione dovrebbe essere sempre fatto in termini simili a quanto prevede la nostra Costituzione, avendo la pace come unico destino della democrazia.
Il problema, però, è che non basta essere contro la guerra, che piace solo ai fanatici, agli irresponsabili e a chi con essa guadagna. Dobbiamo innanzitutto capire come essere pronti per evitarlo e, a tal fine, occorre la capacità di poter e saper negoziare con la forza e la credibilità necessarie. Ma, nel mondo occidentale (con i suoi valori di libertà e democrazia), solo gli Stati Uniti sono in grado di farlo, anche se non sempre avendo la colomba nella propria bandiera e comunque stando al loro gioco. Tuttavia, nessuno dei singoli stati europei ha questa capacità. E così lo stiamo verificando per l’Ucraina e il Medio Oriente, il grande assente, nel suo torpore, è proprio l’Europa come entità politica autonoma e credibile.
Sembra quindi comprensibile che oggi, in un contesto internazionale cupo e pieno di comprensibili timori per lo scoppio di un conflitto mondiale, si insista sempre più sulla creazione di una difesa comune. Inoltre, consentirebbe non solo di rendere più efficiente la sicurezza europea ma anche di razionalizzare enormemente i costi, attraverso l’utilizzo di specifici Eurobond, e di pianificare l’utilizzo di tecnologie comuni.
Si tratta, tuttavia, di un obiettivo arduo e complesso considerando che la creazione di un futuro esercito comune non potrà prescindere dal suo controllo politico unitario. È, in altre parole, fondamentale chiedersi se essa possa davvero funzionare efficacemente in assenza non di una vera comunità politica europea, ma almeno di una seria politica estera e di sicurezza comune. Sappiamo però che questo è fortemente limitato dal fatto che il suo funzionamento dipende dall’esistenza di una volontà comune di tutti i 27 Stati membri poiché la regola generale delle sue decisioni è l’unanimità.
È chiaro quindi che, nell’attuale quadro istituzionale, ben poco si può fare seriamente senza la necessaria riforma dei Trattati. Pertanto, anche per garantire la nostra sicurezza e di fronte ad un possibile “raffreddamento” da parte degli Usa nei confronti della Nato, il decisivo salto di qualità verso una maggiore caratterizzazione politica dell’Unione Europea non è più rinviabile. La Riforma dei Trattati, però, potrà avvenire solo attraverso segnali chiari che emergeranno dall’elezione del nuovo Parlamento Europeo con la presenza prevalente di forze politiche che hanno questo progetto nella loro piattaforma programmatica.
Dobbiamo prendere coscienza che la difesa comune, correttamente intesa, costituisce un elemento importante per la salvaguardia del futuro stesso dell’Europa intera, così come sognato e disegnato dai suoi padri fondatori, statisti capaci di leggere la storia. L’alternativa è la nostra progressiva irrilevanza.