Ambasciatore Giampiero Massolo, pochi giorni fa lei si è recato negli Stati Uniti per ritirare l’ambita medaglia della Foreign Policy Association che le è stata conferita per gli straordinari risultati conseguiti sul fronte diplomatico. Che clima avete trovato ora che Trump è diventato ufficialmente l’avversario di Biden?
«I due candidati riflettono una realtà americana profondamente divisa, con due visioni opposte del futuro del Paese, dove è iniziata una corsa completamente nuova alla reciproca delegittimazione. E uno dei paradossi è che Biden non riesce a far percepire il miglioramento dell’economia come un suo successo. D’altronde Trump ha basato la sua campagna elettorale sul senso di disillusione verso l’establishment che prova una parte significativa dell’elettorato, puntando tutto su quella che in Italia chiamiamo demagogia”.
Ciò significa che la vittoria di Trump non è così ovvia come alcuni pensano?
«Troppo presto per fare scommesse, mancano otto mesi al voto e possono succedere tante cose. E se è vero che per Biden, nonostante il vigoroso e apprezzato discorso sullo stato dell’Unione, l’esposizione pubblica di alcune istantanee ha messo in luce le debolezze della sua età, anche per Trump la strada non è facile. Perché non è ancora sicuro di ottenere il voto delle frange fluttuanti del partito repubblicano, quelle che hanno sostenuto Nikki Haley fino alla fine.”
Perché la maggior parte delle cancellerie europee temono una vittoria di Trump?
«In verità, chiunque sarà il nuovo presidente, l’Europa sarà chiamata ad assumersi maggiori responsabilità. Non basterà contribuire alle spese militari, ma almeno nel nostro vicino estero sarà necessario garantire una ragionevole deterrenza. Con una differenza fondamentale, che è alla base dei timori: con una presidenza democratica, tutto ciò avverrebbe in un quadro collaborativo; con Trump il quadro sarebbe invece competitivo, poiché egli instaurerebbe subito rapporti bilaterali con i singoli paesi europei, anziché considerare l’Europa nel suo complesso. Trump non è un isolazionista, ma un unilateralista, che sfrutta gli equilibri di potere. La prima sfida dell’Europa sarebbe quindi quella di dimostrare la propria compattezza”.
Quanto pesa sul bilancio elettorale la posizione di Biden sulla guerra in Medio Oriente?
«Non poco. Potrebbe fargli perdere il consenso tra i giovani, soprattutto tra i gruppi più istruiti e moderati che in precedenza lo avevano sostenuto. L’eccessiva vicinanza al governo israeliano, che oggi viene percepita come eccessiva nella sua reazione, nonostante la legittimità della sua risposta al vile atto terroristico del 7 ottobre, è mal tollerata. Quindi l’atteggiamento di Biden viene letto come troppo indulgente nei confronti di Israele, e questo non ci piace”.
Anche in Europa si voterà a giugno. Qualunque sia il risultato, è concepibile un bilancio dell’Unione incentrato sulle questioni militari e di sicurezza energetica. Alla luce dei nuovi scenari, il Green Deal, come lo conosciamo, può considerarsi archiviato?
«Il tema della sicurezza è particolarmente sentito dall’elettorato europeo, che è sconcertato dalla sequenza serrata di guerre che credevano superate. Non capisce come siamo passati dall’era della collaborazione a quella dell’opposizione, mentre percepisce la guerra sempre più vicina e si chiede quando tutto questo finirà. A ciò si aggiunge, soprattutto in Italia, l’incertezza attorno alla questione migratoria, che viene ancora vista come irrisolta, nonostante i passi avanti compiuti anche grazie al governo Meloni, che è riuscito a trasformarla in una questione europea.”
Come verrà inquadrato tutto ciò nel nuovo bilancio dell’Unione?
«Il nuovo bilancio non può non riflettere le opportunità e le minacce del presente. Non c’è dubbio che il bilancio comunitario dovrà includere una quota di spesa comune destinata alla sicurezza in generale, in linea con il documento sull’industria europea presentato dalla Commissione all’inizio di marzo. La parte più importante delle spese militari resterà comunque a carico dei bilanci nazionali, semmai lo sforzo sarà quello di razionalizzare le commesse, per evitare sovrapposizioni. Sarebbe importante se fosse previsto un debito comune, come è stato fatto con il Covid, per finanziare le spese per la sicurezza, ma credo che i tempi non siano maturi”.
Le risorse per tutto sono difficili da trovare. È possibile quindi che la transizione verde stia segnando il passo?
«Non credo che sia possibile metterlo da parte, ma perseguire i suoi obiettivi con un approccio meno estremo e con una gestione complementare delle diverse fonti, sì: non solo rinnovabili quindi, ma anche il nuovo nucleare. Sarà fondamentale coinvolgere le imprese, ma sulla base della reciprocità degli interessi, evitando di far percepire la transizione solo come un dogma da applicare. Occorre perseguire politiche di sostenibilità attraverso un sistema misto di finanziamento pubblico-privato, basato proprio sul principio del cointeresse.”
Mentre si parla dei grandi eventi elettorali in Occidente, non si vede ancora alcuna soluzione per la guerra in Ucraina e per Gaza. Papa Francesco ha deciso di fare una sintesi sulla quale c’è ancora molto dibattito. Ha definito quella che si combatte a Gaza come una guerra tra due popoli irresponsabili e sull’Ucraina ha suggerito a Kiev di alzare bandiera bianca e negoziare la pace con Mosca. Il pensiero di lui?
«Purtroppo il mondo non è quello che vorremmo ma è quello che è, e in questo mondo il Papa dà voce all’aspirazione di tutti, cioè lo stop alle armi e una pace duratura. Il cardinale Pietro Parolin ha ben chiarito l’aspetto sotteso di questo traguardo aspirazionale, traducendolo nelle forme della realtà. È chiaro che il tentativo di pace, e qui penso all’Ucraina, può esistere se l’aggressore smette di attaccare; ma se non si ferma, è nostro dovere aiutare l’aggredito a costruire le migliori condizioni affinché le trattative possano iniziare da posizioni non deboli.”
Ok, ma cosa suggeriresti per porre fine al conflitto in Ucraina il più rapidamente possibile?
«Intanto bisogna chiarire che l’unica pace che funziona è quella raggiunta dai due contendenti, nessuno meglio di loro può risolverla. Ma affinché i due possano sedersi al tavolo, l’aggressore deve fermarsi e l’altro deve dire a quali condizioni si può considerare un accomodamento. Non vedo altra strada.”
E sul fronte mediorientale?
«Il trauma è stato fortissimo, un’aggressione senza precedenti nella storia recente, alla quale Israele ha risposto legittimamente, con l’obiettivo di decapitare Hamas ed eliminare quindi la minaccia proveniente da Gaza. Ma il prolungarsi del conflitto e le modalità massicce con cui Israele sta rispondendo stanno avendo un effetto boomerang sul governo Netanyahu, fortemente criticato dalla comunità internazionale. Il problema è che le due agende non coincidono. Israele dice: decapitiamo Hamas, mettiamo in sicurezza Gaza e poi pensiamo agli ostaggi. La comunità internazionale risponde: no, pensiamo prima agli ostaggi e agli aiuti umanitari, poi al futuro di Gaza. Ma per pensare alle conseguenze dobbiamo consentire ai paesi arabi moderati di poter partecipare a queste conseguenze”.
Dall’altro lato bisogna fare i conti con il gioco molto ambiguo di Hamas, che da un lato afferma di volere una tregua, dall’altro la sua ala militante continua a rifiutare ogni compromesso.
«La comunità internazionale sta cercando di spezzare il circolo vizioso mediando per ottenere un cessate il fuoco prolungato e uno scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Se la tregua durasse abbastanza a lungo, un’eventuale ripresa delle ostilità sarebbe necessariamente meno massiccia e più mirata. Questo è lo sforzo diplomatico in corso.”
Lei è presidente di Mundys, l’azienda fondata esattamente un anno fa nella quale Alessandro Benetton, anche a nome della famiglia, ha voluto riunire le principali attività del gruppo. Possiamo tracciare un primo bilancio?
«Non sembra un luogo comune, ma è stato davvero un anno vissuto intensamente. Gran parte del management è cambiato, con Andrea Mangoni abbiamo un nuovo responsabile aziendale di grande esperienza. Abbiamo consolidato i rapporti con Acs, nostro partner di riferimento in Abertis, rilanciandone gli investimenti e acquisendo nuove concessioni autostradali a Porto Rico, in Texas e anche in Spagna. Abbiamo dato una scossa al mercato ad aziende come Telepass e Yunex Traffic, affinando le loro attività di decongestionamento del traffico e di mobilità intelligente. E per il settimo anno consecutivo abbiamo ottenuto il riconoscimento di Fiumicino come miglior aeroporto d’Europa. Forti di un azionariato autorevole e stabile, rappresentato da Edizione, insieme a Blackstone e Crt, non temiamo le sfide del futuro.”