Dando un’occhiata alla rassegna stampa del Corriere della Sera abbiamo letto e condiviso integralmente la riflessione di Alessandro Trocino (abbiamo solo cambiato il titolo) sulle condizioni delle carceri ungheresi legate al caso Ilaria Salis. Abbiamo apprezzato il suo coraggio e la sua capacità critica. Quel coraggio e quella capacità critica che mancano alla politica italiana, piena di retorica e ipocrisia. Buona lettura.
di ALESSANDRO TROCINO
Chi minimizza la barbarie ungherese, che è antidemocratica, politicamente autoritaria, oppressiva e lontana anni luce dalla civiltà europea, rende un cattivo servizio alla nostra Costituzione, alla nostra storia recente, alla visione che abbiamo sviluppato nel rapporto tra cittadini dal 1946 in poi. era. Naturalmente poi c’è l’ipocrisia. Il doppio standard, i doppi standard, lo strabismo di chi vede il marcio là dove esiste, l’Ungheria, ma non dove si trova facilmente, tra le aule dei tribunali italiani e soprattutto nelle nostre carceri.
Due situazioni incomparabili, certo, quella dell’Ungheria e quella dell’Italia, ma provare a pensarci non è inutile. Gli schiavettoni li abbiamo aboliti già da tempo, le manette di ferro le abbiamo viste l’ultima volta con il povero Enzo Carrà nel 1993 e poi non erano molti a destra e a sinistra ad indignarsi. Abbiamo sostenuto il pool, ci siamo divertiti alla caccia al “cinghiale” Craxi e alla triste immagine di Arnaldo Forlani che sbava, messo alle strette da Di Pietro, abbiamo chiesto più carcere, più duro, più lungo. Lì è stato gettato il seme del giustizialismo, della ferocia di chi non vede di buon occhio il rispetto dei diritti degli imputati e dei detenuti perché costituiscono un bell’ostacolo all’accertamento della verità e alla punizione dei colpevoli, cioè , di quelli che abbiamo deciso che siano, ben prima che lo dicano i giudici.
Poi ci siamo sbarazzati di quelle manette, almeno apparentemente. Ma sono rimasti dentro e non solo, come ricorda su Il Foglio l’avvocato Nicola Canestrini che dice subito una cosa scomoda e cioè che «sul caso Salis noi italiani non possiamo dare lezioni a nessuno». E poi si ricorda, tanto per cominciare, che i detenuti arrivano in Aula con le manette e restano lì per ore insieme ai famosi schiavisti. Certo, non li fotografiamo né li pubblichiamo, e questo è un bene, ma non mostrarli non li fa sparire. Le manette vengono rimosse solo quando i detenuti vengono messi in gabbie con sbarre di metallo. Una pratica che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, è contraria all’articolo 3 che vieta i trattamenti inumani e degradanti. E stare in gabbia produce “un sentimento di umiliazione, impotenza, paura, angoscia e inferiorità”.
Certo, se un detenuto è pericoloso non gli è consentito girare per la Camera, ma la proporzionalità delle misure resta sempre il criterio fondamentale per stabilirne la necessità e l’umanità. Come sa perfettamente chi frequenta le aule dei tribunali, e come racconta anche Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio penitenziario di Antigone, in gabbia si finisce non solo perché si è pericolosi, ma anche e soprattutto per esigenze di conforto e di praticità dell’amministrazione. Un gruppo di prigionieri è più facilmente controllabile se tenuto in gabbia che se non accompagnato individualmente. E se magistrati e avvocati si siedono su comode poltrone, gli imputati finiscono su panche di cemento, anticipazione della punizione, metafora perfetta dello svilimento della presunzione di innocenza.
Allora chiediamo, quasi pretendiamo, che l’Ungheria rimandi il cittadino italiano in patria. Ma cosa succederebbe se accadesse il contrario? Cioè se un cittadino ungherese venisse accusato di lesioni in Italia, verrebbe rispedito volentieri a Budapest? L’obiezione è che lì c’è una democrazia, che i diritti non vengono rispettati, eppure quel Paese è l’Europa, l’Unione Europea, noi l’abbiamo accettata, abbiamo fatto finta di nulla nonostante le proteste degli altri, l’abbiamo anche sostenuta (almeno quelli al governo ) e ora è difficile mettere in discussione la legittimità di giudicare fatti accaduti (o meno) nel loro territorio.
Ilaria Salis scrive di essere stata massacrata per mesi dalle cimici dei letti, che facevano vagare scarafaggi e topi nelle celle. Orribile, disgustoso. E in Italia? Decenni di retorica sulle prigioni come hotel ci hanno fatto dimenticare la situazione nelle celle. Sei sicuro che non abbiamo anche cimici, scarafaggi e topi? Certo sì, ma il contrario. Praticamente ogni mese in un carcere scoppia una piccola rivolta per motivi legati alle condizioni carcerarie. Lo scorso 11 dicembre, a Fuorni (Salerno), molti detenuti hanno protestato violentemente perché erano senza acqua calda da un mese. Nel dicembre 2022 i sindacati di polizia penitenziaria del carcere di Torino denunciarono di essere stati aggrediti dai detenuti e di vivere “in un carcere pieno di topi e scarafaggi”. La denuncia appartiene agli agenti, lo ripetiamo, non ai detenuti. Nella mensa del carcere di Vicenza in passato sono stati rinvenuti vermi e scarafaggi negli alimenti. Ma è inutile proseguire, basta fare una ricerca e scoprirete che sono tante le carceri assediate da scarafaggi, zecche e topi, nel disinteresse generale.
E le cimici? Anche. A Sollicciano, Firenze, sono stati magistrati e agenti a spiegare la situazione qualche giorno fa, come riportato da La Nazione: «Detenuti morsi dalle cimici, topi che spuntano dai piedi della struttura, infiltrazioni d’acqua quando non piove. Il freddo che entra nelle ossa d’inverno e il caldo soffocante d’estate. E, come se non bastasse, una doccia per 8-10 detenuti quando dovrebbe esserci in ogni cella, e niente lavoro.”
E va bene, Budapest è l’orrore, il sistema giudiziario ungherese è l’inevitabile risultato di un Paese che non rispetta più i diritti civili, ma l’Italia dei detenuti in attesa di giudizio li rispetta? I tempi della giustizia sono molto lunghi, molto più lunghi che nel resto d’Europa, e il risultato è che nelle celle giacciono moltissime persone non condannate, che poi forse verranno assolte. Abbiamo spesso parlato di sovraffollamento e di suicidi alla Rivista, ma non sembra che qualcuno abbia pensato a rimedi per riportarci a una condizione dignitosa, che non ci faccia vergognare delle nostre prigioni e dei nostri doppi standard. Il presidente Sergio Mattarella ieri ha lanciato ancora una volta l’allarme suicidi nelle celle, già 13 in un mese, e Giovanni Bianconi ha riportato un dato che dovrebbe preoccupare tutti: si registra una tendenza ad aumentare il numero dei detenuti di 500 al mese. Cinquecento. È normale? Dieci anni fa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci condannò, ora la situazione sta tornando alla stessa e peggiore situazione di allora. Guardare Budapest è giusto e necessario, è giusto indignarsi, ma guardare solo Budapest e non San Vittore e Rebibbia, Marassi e Ucciardone, è sbagliato ed ipocrita.